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A cura della Dott.ssa Catia Anedda

Medico Reumatologo

CONTENUTI

MALATTIA DI BEHÇET

La malattia di Behçet è una vasculite che colpisce più frequentemente il sesso maschile intorno ai 20-30 anni. È più diffusa in alcune aree geografiche come la Turchia e il Giappone.

La causa di tale malattia non è nota anche se numerosi virus, batteri o sostanze alimentari sembrerebbero in grado di scatenarla attraverso meccanismi immunologici (interagendo cioè con il sistema immunitario).

I danni più importanti si riscontrano a carico dei piccoli vasi (arterie e vene di piccolo calibro) nelle pareti dei quali ritroviamo delle cellule infiammatorie (globuli bianchi come linfociti e monociti) e delle zone di necrosi.

Sintomi

Generalmente la malattia esordisce con ulcere ricorrenti del cavo orale e dei genitali associate ad interessamento oculare come iridociclite cioè l’infiammazione dell’iride e del corpo ciliare (strutture che costituiscono l’occhio), cheratite (lesioni della cornea), cataratta (lesioni del cristallino), glaucoma (ipertensione oculare).

In una minoranza di casi (10-25%) possono esservi delle manifestazioni neurologiche quali meningiti, paralisi dei nervi cranici, ipertensione cerebrale. In oltre la metà dei casi si ha un coinvolgimento articolare con comparsa di artralgie (dolori a carico delle articolazioni) o di vere e proprie artriti (articolazioni dolenti, gonfie, rosse e calde); in genere il numero di articolazioni coinvolte è basso e vengono interessate soprattutto le articolazioni degli arti inferiori (ginocchia, caviglie).

Può esserci anche un coinvolgimento dell’apparato gastroenterico con comparsa di vomito, dolore addominale e diarrea.

Diagnosi

La diagnosi è fondamentalmente basata sulla clinica (sintomi e visita del paziente) e sulle alterazioni caratteristiche presenti negli esami del sangue come: aumento di VES e PCR e degli immunocomplessi.

Terapia

I farmaci maggiormente usati in questa malattia sono i corticosteroidi a dosi molto variabili in rapporto alla gravità e all’estensione della vasculite. I farmaci immunosoppressori, come la ciclosporina A o l’azatioprina devono essere somministrati quanto prima per evitare le complicanze. Può essere utilizzata anche la colchicina.

Criteri diagnostici

  • Ulcere (afte) orali ricorrenti
  • Ulcere genitali
  • Uveite anteriore e/o posteriore (interessamento oculare)
  • Infiammazione cutanea (pseudo-follicolite, lesioni papulo-pustolose o acneiformi)
  • Pathergy test* o vasculite cerebrale o flebite

* Il pathergy test: consiste nel pungere con un ago sterile una zona di cute integra (generalmente avambraccio) facendo penetrare l’ago per circa 5mm; il test viene considerato positivo se compaiono, nella zona di puntura, papule eritematose di dimensioni superiori a 2mm. La lettura viene eseguita a 48 ore di distanza.

Per poter porre diagnosi di malattia di Behçet deve essere obbligatoriamente presente il primo criterio (afte orali) e almeno due degli altri quattro criteri.


ARTERITE DI TAKAYASU

L’arterite di Takayasu, detta anche malattia senza polsi, è una vasculite cronica granulomatosa che colpisce più spesso l’aorta e i suoi rami principali, interessando la parete del vaso in tutto il suo spessore. Colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto femmine: maschi = 8:1) soprattutto nell’età compresa tra i 15 e i 40 anni. Nonostante ci siano dei dati su una maggiore incidenza della malattia in Giappone e nel sud-est asiatico rispetto all’Europa, l’esatta frequenza non è nota a causa della rarità della malattia stessa e della difficoltà nella diagnosi.

La causa della malattia è sconosciuta. Nelle fasi iniziali il processo infiammatorio è caratterizzato dalla presenza, nelle parte esterna della parete dei vasi arteriosi, di lesioni granulomatose costituite da infiltrati di cellule infiammatorie (soprattutto globuli bianchi come i linfociti, i monociti e i polimorfonucleati); nelle fasi più avanzate invece tale infiltrato è poco rappresentato ma le cellule infiammatorie viste sopra, producendo alcune sostanze chiamate fattori di crescita, stimolano la iperplasia della parete dei vasi, cioè un loro aumento di spessore, con conseguenti restringimenti e impedimento a un normale flusso di sangue negli stessi vasi.

Sintomi

All’esordio della malattia sono presenti solamente dei sintomi non specifici come dolori muscolari e articolari, febbre, dimagramento. Quando invece la malattia è più avanzata i sintomi sono in rapporto alla localizzazione del processo infiammatorio e dipendono dall’insufficienza vascolare del tratto di vaso interessato, cioè a una ridotta capacità dell’arteria di condurre il sangue; ci saranno perciò una ridotta forza muscolare, una assenza o ridotta ampiezza del polso radiale a uno o entrambi gli arti superiori (riduzione della forza di pulsazione delle arterie interessate), disturbi ischemici alle dita delle mani (minore flusso di sangue alle mani con pallore degli arti, eccetera), sincope (perdita di coscienza), convulsioni, ischemia cerebrale (episodi cioè causati dal ridotto flusso ematico cerebrale), disturbi visivi, angina pectoris (dolore improvviso al petto), ipertensione arteriosa.

Diagnosi

La diagnosi è quindi soprattutto clinica, mentre le alterazioni delle analisi ematochimiche riguardano fondamentalmente un aumento degli indici di infiammazione (VES, PCR) e dei globuli bianchi, principalmente i neutrofili, un’anemia, un’ipergammaglobulinemia. Per quanto riguarda gli esami strumentali l’angiografia è sicuramente quello di maggiore importanza, poiché mostra a carico dei tratti colpiti i classici restringimenti (stenosi) o più raramente le dilatazioni (formazioni aneurismatiche); possono risultare utili anche l’ecografia, la TC e la RM.

Terapia

I farmaci cortisonici a dosaggio medio-alto sono nella maggior parte dei casi in grado di arrestare il processo vasculitico. Tra i farmaci di fondo viene utilizzato con successo il methotrexate (in genere associato ai cortisonici), mentre la ciclofosfamide viene usata nei casi in cui non vi è risposta allo steroide. Attualmente si sta valutando la risposta ai nuovi farmaci biologici anti-TNF.

Criteri classificativi ACR (1990)

  • Età di esordio inferiore ai 40 anni
  • Claudicatio delle estremità soprattutto superiori
  • Ridotta pulsatilità delle arterie brachiali
  • Differenza della pressione arteriosa sistolica tra le due braccia >10mmHg
  • Soffi vascolari a livello di arterie succlavie o aorta addominale
  • Alterazioni radiografiche (restringimenti o occlusioni dell’aorta o dei suoi rami principali)

Per poter porre diagnosi di arterite di Takayasu devono essere presenti almeno 3 di questi criteri.

Criteri di Scharma (1996)

  • Criteri maggiori
    • Lesioni caratteristiche a livello dell’arteria succlavia sinistra
    • Lesioni caratteristiche a livello dell’arteria succlavia destra
    • Segni e sintomi devono essere presenti da almeno un mese
  • Criteri minori
    • Aumento della VES
    • Ipertensione arteriosa
    • Insufficienza aortica
    • Lesioni all’arteria polmonare
    • Lesioni alla carotide comune sinistra
    • Lesioni all’aorta addominale
    • Lesioni ai tronchi brachiocefalici o all’aorta toracica discendente
    • Lesioni alle arterie coronarie

POLIMIOSITE-DERMATOMIOSITE

La polimiosite è una malattia infiammatoria cronica dei muscoli dovuta a cause ancora sconosciute.

Questa malattia viene classificata tra le malattie infiammatorie dei connettivi o connettiviti (il muscolo, infatti, è un tessuto connettivo), è più frequente nel sesso femminile e colpisce l’età giovane adulta. L’ipotesi che riceve maggiori consensi riguardo alla causa della malattia è quella che sostiene che in individui portatori di alcuni particolari geni (soggetti geneticamente predisposti) venga provocata una reazione autoimmunitaria con danno muscolare (cioè gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario del soggetto si rivolgono contro alcuni tessuti o organi del soggetto stesso, in questo caso i muscoli). Tutto ciò sarebbe scatenato dal contatto con agenti infettivi (soprattutto virus che provocano sintomi muscolari come i virus Coxsackie, gli echovirus, i virus dell’influenza, dell’epatite B, dell’herpes, della rosolia, etc.).

A livello dei muscoli ritroviamo aggregati di cellule infiammatorie (globuli bianchi come linfociti T e B) che a poco a poco provocano la distruzione di alcune parti del muscolo stesso.

La polimiosite si associa spesso a lesioni cutanee, si parla allora di polimiosite-dermatomiosite.

Sintomi

Il sintomo principale della polimiosite è la debolezza muscolare che si manifesta soprattutto a carico delle spalle, delle braccia e delle gambe. Il malato riferisce di provare fatica a eseguire alcuni movimenti molto semplici come accavallare le gambe, salire le scale, pettinarsi o appendere gli abiti. In seguito (dopo molto tempo, poiché la progressione della malattia è lenta), la debolezza muscolare diviene più importante e può coinvolgere anche altri muscoli (tranne i muscoli che ci permettono di muovere gli occhi, che in questa malattia non vengono mai interessati!). Per quanto riguarda la dermatomiosite invece il quadro clinico è dominato dalle manifestazioni cutanee: caratteristico è il cosiddetto rash eliotropo (colorazione violacea delle palpebre superiori associata a gonfiore delle stesse); possiamo poi ritrovare le papule di Gottron (placche rossastre o violacee presenti a livello delle sporgenze ossee quali nocche delle dita, ginocchia, gomiti) e, soprattutto nell’infanzia, manifestazioni vasculitiche e la cosiddetta calcinosi cutanea (depositi calcifici localizzati soprattutto nelle fasce che ricoprono i muscoli degli arti e che causano indurimenti palpabili della cute la quale può anche ulcerarsi).

Abbiamo poi tutta una serie di altri sintomi elencati di seguito.

I dolori articolari (artralgie) possono essere presenti nei periodi di attività della malattia ma le artriti (infiammazione delle articolazioni che si presentano gonfie, rosse e calde) sono rare.

La difficoltà a deglutire (disfagia) può essere presente se c’è un coinvolgimento dei muscoli della deglutizione o di una parte dell’esofago stesso (la porzione più alta di questo).

Si può verificare infine, anche se raramente, un coinvolgimento di alcuni organi come: polmone, cuore, rene. Se viene interessato il polmone il malato può avere tosse, difficoltà a respirare e talvolta dolore al torace (coinvolgimento dei muscoli interessati nella respirazione!); il coinvolgimento cardiaco può essere messo in evidenza all’elettrocardiogramma mentre il coinvolgimento renale viene dimostrato dagli esami del sangue e delle urine.

Diagnosi

La diagnosi viene posta grazie a un’attenta visita del malato, nonché agli esami del sangue che mettono in evidenza un aumento degli indici di infiammazione (VES e PCR), segni di danno muscolare (aumento delle CPK, delle LDH, delle AST e delle ALT). Vi è inoltre un aumento della mioglobina e della creatina nel sangue e nelle urine. Le CPK (creatin-fosfochinasi), le LDH (lattico-deidrogenasi), le AST e le ALT sono tutti enzimi muscolari che aumentano nel corso della malattia e in modo particolare nelle fasi di attività della stessa. È quindi importante controllare molto spesso i valori di questi enzimi perché da questi si riesce a valutare anche la risposta alla terapia. Bisogna però precisare che in una certa percentuale di casi (intorno al 30%) il dosaggio delle CPK è normale! La mioglobina è una proteina presente nei muscoli scheletrici e nel muscolo cardiaco; in caso di danno muscolare essa si riversa nel sangue e arriva al rene dove viene filtrata e riassorbita. Quando questa proteina aumenta notevolmente nel sangue, il rene non riesce a riassorbirla e quindi questa passa nelle urine dove può essere messa in evidenza. Lo stesso discorso vale per la creatina, anche se il suo aumento nelle urine può verificarsi anche in altre condizioni diverse dalla polimiosite.

Infine possono essere messi in evidenza nel sangue delle persone affette da questa malattia alcuni anticorpi come l’anti PM-Scl e l’anti Jo-1.

Per quanto riguarda gli esami strumentali risultano molto utili l’elettromiografia e la biopsia muscolare che mettono in evidenza le alterazioni presenti a livello dei muscoli scheletrici.

Terapia

I farmaci che vengono utilizzati più frequentemente in questa malattia sono i corticosteroidi (detti genericamente cortisonici); questi farmaci vengono usati inizialmente ad alte dosi (1 mg per kg), per poi ridurre gradualmente il dosaggio controllando con molta attenzione l’attività della malattia.

Se la malattia non migliora con l’uso dei cortisonici è necessario associare i farmaci immunosoppressori; gli immunosoppressori maggiormente utilizzati sono: il methotrexate, l’azatioprina, la ciclofosfamide e la ciclosporina.

L’attività fisica nelle fasi iniziali deve essere abolita in quanto peggiora il danno muscolare, ma una progressiva ripresa fisica deve essere consigliata una volta ottenuto il miglioramento della forza muscolare.


MALATTIA DI PAGET

Si tratta di una malattia caratterizzata da ingrossamento, deformità e ricca vascolarizzazione delle ossa colpite. Interessa soprattutto il sesso maschile oltre i 40 anni e la sua causa è ancora sconosciuta.

La malattia di Paget può colpire una o più ossa, le sedi più frequenti sono: il bacino, le ossa lunghe degli arti, il cranio e la colonna vertebrale.

Nella fase iniziale della malattia abbiamo un aumento del riassorbimento osseo (fase distruttiva o osteolitica) a cui segue una fase di accelerazione sia della neoformazione sia del riassorbimento dell’osso (fase intermedia) mentre successivamente diventa prevalente la formazione di nuovo osso (fase osteosclerotica o di neo-apposizione ossea).

Sintomi

Il sintomo principale è il dolore osseo. Quando la malattia colpisce il cranio compare cefalea e spesso ipoacusia (riduzione dell’udito a causa della compressione del nervo uditivo dovuta al restringimento del forame uditivo, dove esso passa). Più frequentemente viene colpita la colonna vertebrale e in quel caso compare dolore a livello della colonna che si porta fino agli arti inferiori; nei casi più gravi come complicanza si può avere una compressione del midollo, conseguente alla deformità delle vertebre, che può determinare una paralisi degli arti.

Un’altra complicanza è lo scompenso cardiaco secondario all’ipertensione (quest’ultima dovuta all’aumento della vascolarizzazione ossea), e si verifica quando la malattia interessa più di 1/3 dello scheletro. La particolare fragilità delle ossa può inoltre causare fratture di difficile riparazione; ma la complicanza più temibile è la possibile degenerazione sarcomatosa delle ossa malate (il sarcoma è un tumore maligno delle ossa).

Diagnosi

La radiografia delle ossa colpite offre un quadro caratteristico e diverso a seconda della fase della malattia; nella fase di distruzione compaiono delle zone di rarefazione ossea, nella fase intermedia le aree rarefatte appaiono circondate da tessuto sclerotico e l’osso appare ingrossato. Infine nella fase sclerotica l’osso si presenta aumentato di volume e di densità. Sicuramente l’esame strumentale più preciso per la diagnosi è la scintigrafia ossea; questa metodica infatti documenta perfettamente i fenomeni di accelerato metabolismo osseo che si verifica in questa malattia. Per quanto riguarda gli esami del sangue è caratteristico l’aumento di un enzima osseo: la fosfatasi alcalina ossea.

Terapia

La terapia si avvale dei bisfosfonati, farmaci che riducono il riassorbimento osseo e riportano alla normalità il metabolismo dell’osso stesso.

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Spondiloartrite anchilosante https://www.reumaonline.it/spondiloartrite-anchilosante/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=spondiloartrite-anchilosante https://www.reumaonline.it/spondiloartrite-anchilosante/#respond Wed, 11 Nov 2009 13:57:54 +0000 http://www.reumaonline.it/2009/11/11/spondiloartrite-anchilosante/

Dott.ssa Elisabetta Chessa e Prof. Alberto Cauli

Unità Operativa Complessa di Reumatologia, Policlinico di Monserrato, AOU e Università degli Studi di Cagliari.

CONTENUTI:

Introduzione

La spondilite anchilosante (SA) è una malattia reumatologica infiammatoria cronica che interessa principalmente la colonna vertebrale, causando una caratteristica lombalgia infiammatoria che, se non curata, può nel tempo causare dei danni strutturali fino alla fusione delle vertebre. Il termine spondilite deriva infatti dal greco “spondylos”=vertebre + il suffisso “ite”, che indica il carattere infiammatorio della malattia, mentre anchilosante deriva da “ankylos”, che significa curvo.

La SA fa parte di un gruppo di malattie chiamate spondiloartriti sieronegative (SpA), insieme all’artrite psoriasica, all’artrite reattiva e alle artriti enteropatiche. Queste patologie infatti, seppur differenti, condividono tra loro alcune caratteristiche genetiche e cliniche, come ad esempio il coinvolgimento delle articolazioni periferiche, delle strutture extrarticolari (tendini, legamenti) e di organi come gli occhi e il cuore.

Epidemiologia

La SA è 3 volte più frequente nel sesso maschile, con un picco di insorgenza tra i 20 e i 40 anni d’età. Circa l’80% dei pazienti affetti da SA presenta i primi sintomi prima dei 30 anni, e solo il 5% dopo i 45 anni. La prevalenza della SA nella popolazione generale varia tra 9 e 30 persone ogni 10.000 abitanti.

Caratteristica peculiare di questa malattia è l’elevata associazione con la presenza di un gene, l’allele HLA-B27, che è presente nel 80-90% dei pazienti affetti da SA. Tuttavia, la maggior parte dei soggetti con l’allele HLA-B27 è portatore sano, cioè non si ammala di SA pur evidenziando nei familiari di pazienti affetti da SA un rischio più elevato di sviluppare SA. Pertanto l’HLA-B27 è responsabile di una predisposizione genetica allo sviluppo della SA, ma non è sufficiente, altri geni e fattori ambientali intervengono nel determinare la malattia. Al momento attuale si conoscono 23 sottotipi dell’HLA-B27: nella popolazione sarda il 25% degli individui B27+ presenta il sottotipo B2709, che non si associa allo sviluppo di malattia.

Eziopatogenesi

Le cause della Spondilite Anchilosante non sono state ancora del tutto chiarite. Quello che si sa al momento attuale è che la SA è una malattia dove concorrono più fattori ad innescare il processo patologico. Probabilmente quello che succede è che, in individui con una certa predisposizione genetica (ad esempio la presenza dell’allele HLA-B27 o di altri geni), uno stimolo esterno, come ad esempio una infezione, agisce innescando nel sistema immunitario una serie di risposte ad impronta infiammatoria sulla colonna vertebrale e sulle entesi (inserzione dei legamenti sull’osso).

Manifestazioni cliniche

La manifestazione iniziale è generalmente il dolore di tipo sordo, insidioso, localizzato alla schiena, inizialmente in profondità nella regione bassa o alle natiche, che poi progressivamente tende a salire fino al collo. Il dolore si presenta durante l’inattività (ad esempio durante il riposo notturno) e migliora col movimento. Il paziente può inoltre lamentare stanchezza intensa, malessere generale, perdita di appetito, dolori muscolari, mentre normalmente non presenta febbre.

Oltre alla schiena possono essere presenti dolori a livello di altre articolazioni assiali, come le articolazioni che collegano lo sterno alle coste, alle creste iliache, ai talloni; fino al 30% dei casi può associarsi anche il dolore e la tumefazione di articolazioni periferiche (esempio ginocchia, caviglie o altre); la rigidità con la limitazione nei movimenti della colonna rappresenta una manifestazione più tardiva della malattia, pur essendo spesso il sintomo predominante riferito dal paziente.

Per quanto riguarda altri organi, il paziente con SA può sviluppare l’uveite anteriore, una malattia dell’occhio caratterizzata da importante dolore oculare, fastidio per la luce, rossore e lacrimazione. Il 5-10% dei pazienti può presentare una malattia infiammatoria dell’intestino, che può esordire con dolore addominale, diarrea, riscontro di sangue e muco nelle feci. Tra le manifestazioni extra articolari più gravi, ma anche più rare, possono esserci anche un disturbo della valvola aortica del cuore, del ritmo del cuore e nei casi più inveterati può associarsi anche una fibrosi del polmone.

L’evoluzione della malattia può essere caratterizzata da episodi di riacutizzazioni dolorose, più o meno frequenti, oppure da una lenta progressione continua, o ancora può esserci una evoluzione rapida e severa che nel giro di pochi anni porta a un irrigidimento totale. Se non adeguatamente controllata, l’infiammazione determina progressivamente anchilosi nelle articolazioni sacroiliache del bacino e nelle vertebre lombari, dorsali e cervicali. Nelle forme più severe il paziente malato di SA arriva ad assumere una postura obbligata, con la gobba, la difficoltà a muovere la testa e il ventre bombato, per la respirazione diaframmatica; caratteristico anche il cammino a piccoli passi e lo spostamento di tutto il corpo per guardare a destra ed a sinistra, invece di girare solo la testa. Tale quadro clinico, noto come “l’uomo che non guarda il cielo”, ormai grazie ai progressi nelle terapie è una condizione rarissima.

Diagnosi

Non esistono markers sierologici specifici per la spondilite anchilosante. Essendo una malattia infiammatoria cronica spesso si accompagna ad un innalzamento degli indici di flogosi. L’HLA-B27 è frequentemente positivo ma la sua presenza non basta a fare diagnosi, né la sua assenza esclude la diagnosi. Gli esami strumentali, e in particolare la radiografia e la risonanza magnetica, permettono di studiare le strutture ossee, articolari e periarticolari e di fare diagnosi differenziale con altre patologie con sintomi simili.

Terapia

ll trattamento della SA non permette di far scomparire la malattia, bensì di indurla in remissione, cioè di farla “addormentare”. L’obiettivo della terapia è permettere al paziente di continuare a fare la vita di tutti i giorni controllando il dolore, prevenendo la progressione del danno e riducendo le complicanze della malattia.

Alla base del trattamento della spondilite ci deve essere sempre un programma di esercizio fisico regolare, che aiuterà il paziente a mantenere la corretta postura, il tono muscolare e la possibilità di movimento, oltre a limitare la progressione verso l’anchilosi e l’osteoporosi. Inoltre, va evitato il fumo.

La terapia farmacologica della SA può avvalersi dell’uso di antinfiammatori, che il paziente assume al bisogno per controllare il dolore, e di farmaci immunosoppressori biotecnologici. I farmaci biotecnologici in particolare hanno rivoluzionato la prognosi della malattia, permettendo di raggiungere lo stato di remissione della malattia e impedendo la progressione nei quadri di spondilite più severi e deformanti.

 

 

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Sclerosi sistemica https://www.reumaonline.it/sclerodermia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=sclerodermia https://www.reumaonline.it/sclerodermia/#respond Wed, 11 Nov 2009 13:56:58 +0000 http://www.reumaonline.it/2009/11/11/sclerodermia/

Dott.ssa Alessandra Vacca e Prof. Alberto Cauli

Unità Operativa Complessa di Reumatologia, Policlinico di Monserrato, AOU e Università degli Studi di Cagliari

CONTENUTI

La sclerosi sistemica (SSc) è una malattia sistemica autoimmune caratterizzata dalla presenza di: vasculopatia, attivazione del sistema immunitario e fibrosi tissutale. Tutte queste anomalie sono presenti fin dalle primissime fasi della malattia, ma possono essere variabilmente evidenti nei diversi pazienti. Le manifestazioni cliniche della patologia sono espressione della sofferenza del microcircolo e dalla sostituzione dei tessuti presenti fisiologicamente con tessuto fibrotico. L’epidemiologia della malattia non è nota essendo una patologia rara e di difficile diagnosi. Si stima comunque che la prevalenza possa essere di 1500/milione e l’incidenza di 20/milione/anno. La malattia colpisce con maggior prevalenza il sesso femminile tra i 40-60 anni, tuttavia qualsiasi fascia di età può essere colpita dalla malattia. Non si dispone attualmente di dati definitivi riguardo l’importanza di fattori genetici anche se la familiarità per malattie autoimmuni e l’esposizione a fattori ambientali (in particolare agenti tossici e virus) possono rappresentare fattori predisponenti e scatenanti.

I sintomi


La SSc è una malattia complessa, progressiva, multiorgano. Il Fenomeno di Raynaud costituisce la manifestazione clinica più frequente, espressione della disfunzione endoteliale che è alla base della SSc. Tale fenomeno è caratterizzato dal cambiamento del colore delle dita delle mani e di tutte le zone esposte (piedi, naso, orecchio ad esempio) in presenza di sbalzi di temperatura o di forti emozioni. Le dita delle mani e dei piedi diventano prima pallide e poi viola provocando formicolio intenso e dolore. Questo cambiamento di colore è causato da una riduzione del flusso di sangue alle estremità del corpo, può durare da qualche secondo a qualche minuto e si può ripetere più volte di seguito.

L’indurimento della cute (fibrosi cutanea) è il segno più tipico della malattia. In rapporto all’estensione della fibrosi cutanea la malattia viene classificata in differenti sottotipi: 1) forma diffusa: la fibrosi può interessare la cute di tutto il corpo. Questa forma si può associare, anche se non esclusivamente, ad un maggiore coinvolgimento cardio-polmonare; 2) forma limitata: la fibrosi cutanea interessa il viso e le porzioni più distali degli arti; 3) forma senza interessamento cutaneo (sine scleroderma): la fibrosi cutanea è assente, ma sono possono essere presenti i sintomi a carico degli altri organi; 4) forma precoce (early): per forma precoce si intende la presenza di fenomeno di Raynaud associato ad anticorpi tipici della malattia e alla presenza di una capillaroscopia con chiari segni di danno del microcircolo.

Le ulcere cutanee sono complicanze comuni. Si tratta di lesioni necrotiche localizzate, spesso dolorose e invalidanti, a livello della porzione distale delle dita (polpastrelli) e sulle zone di cute sovrastante a prominenze ossee. Esse sono legate all’ischemia nel caso delle ulcere digitali e ai continui traumatismi nel caso delle ulcere cutanee presenti sulle prominenze ossee.

I fenomeni di vasospasmo sono stati descritti non solo a livello della cute ma anche a livello dei circoli viscerali. Il cronico susseguirsi dei suddetti fenomeni è responsabile del progressivo e irreversibile rimodellamento della parete dei vasi sanguigni con conseguenti fenomeni ischemici responsabili del danno d’organo, in particolare a carico di cuore-polmoni, apparato gastro-enterico e reni. Il coinvolgimento cardio-polmonare è frequente in corso di SSc, in particolare le anomalie del sistema elettrico cardiaco, la fibrosi polmonare e l’ipertensione arteriosa polmonare costituiscono a tutt’oggi le principali complicanze e cause di morte del paziente sclerodermico. Le manifestazioni a carico del tubo digerente si collocano per frequenza subito dopo l’impegno cutaneo. Le manifestazioni cliniche più secondarie all’impegno esofageo sono la disfagia e il reflusso gastro-esofageo; può inoltre essere interessato anche l’intestino con ipomotilità e conseguente stipsi.

La caratteristica più pericolosa del coinvolgimento renale in corso di SSc è la crisi renale sclerodermica che consiste in un deterioramento rapido e progressivo della funzione renale.

Gli esami che servono per fare la diagnosi

Il decorso della malattia e gli effetti sull’organismo del paziente sono molto variabili in funzione delle caratteristiche della malattia e sono diversi da paziente a paziente ed in generale si possono distinguere diversi percorsi evolutivi.

La diagnosi di SSc può essere posta nelle diverse fasi di malattia ed è possibile così riconoscere:

  • Una forma precoce e paucisintomatica di sclerodermia (tipo precoce, o, secondo la definizione anglosassone ed i criteri utilizzati, early systemic sclerosis  o very early diagnosis of systemic sclerosis [VEDOSS]).
  • Una forma definitiva di sclerodermia ove non siano ancora evidenti le manifestazioni fibrotiche della malattia (SSc  definitiva).
  • Una forma più avanzata ove sono evidenti le manifestazioni cutanee di malattia (SSc definitiva con interessamento cutaneo di tipo limitato e diffuso).

Il compito del medico di medicina generale è inizialmente quello di inviare allo specialista di riferimento ogni caso di fenomeno di Raynaud isolato e/o con manifestazioni sospette per una forma iniziale di SSc come edema digitale, teleangectasie, artralgie e/o artriti, disfagia o con manifestazioni tipiche della SSc come la fibrosi cutanea, le ulcere digitali la dispnea. Secondo le ultime evidenze è necessaria l’esecuzione di esami mirati (capillaroscopia periunguelale e doaggio di anticorpi specifici-ANA) in tutti i pazienti affetti da fenomeno di Raynaud, per effettuare il più precocemente possibile la diagnosi di SSc. Un altro utile esame di screening sono le prove di funzionalità respiratoria e diffusione alveolo-capillare (DLCO) a verifica della corretta funzione dei polmoni insieme a una TAC ad alta risoluzione del torace. Sarà inoltre indispensabile monitorare la funzionalità cardiaca attraverso l’ecocolor-dopplergrafia cardiaca standard e con tissue-doppler imaging, così come la funzionalità dell’esofago attraverso l’RX esofago.

I diversi trattamenti terapeutici. 

La terapia medica deve tener conto dell’eterogeneità delle manifestazioni cliniche, come pure della gravità e progressione delle stesse, e si avvale di farmaci attivi sulle manifestazioni principali della malattia, ossia danno vascolare, alterazioni immunologiche e fibrosi, con l’obiettivo di controllare i sintomi e rallentare la progressione della malattia. Negli ultimi anni sono in corso diverse sperimentazioni con farmaci sia antifibrotici che biotecnologici che si stanno dimostrando efficaci nel rallentamento o almeno stabilizzazione della progressione della malattia.

 

 

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Osteoporosi https://www.reumaonline.it/osteoporosi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=osteoporosi https://www.reumaonline.it/osteoporosi/#respond Wed, 11 Nov 2009 13:56:30 +0000 http://www.reumaonline.it/2009/11/11/osteoporosi/

COME È FORMATO L’OSSO ?

L’osso è formato da cellule che ne costituiscono la parte metabolicamente vitale e sono gli osteoblasti, gli osteociti e gli osteoclasti; contiene il 99% del calcio corporeo; altre importanti componenti sono il fosforo, il fluoro, il magnesio.
Questi minerali sono inglobati in una matrice proteica costituita principalmente da collagene. In pratica possiamo definire l’osso come una struttura in cemento armato: la parte minerale svolge la funzione del ferro e la parte proteica quella del cemento. Questa composizione gli conferisce durezza ed elasticità.

QUAL È LA SUA FUNZIONE ?

  • contribuisce alla locomozione
  • protegge organi vitali
  • produce costituenti del sangue (è la banca di riserva di minerali; il calcio e il fosforo svolgono un ruolo importante nella trasmissione nervosa, nella contrazione muscolare e nella coagulazione del sangue. Quindi senza di loro non si potrebbe vivere)

CHE COS’È L’OSTEOPOROSI ?

L‘osteoporosi è una riduzione graduale del contenuto minerale delle ossa che, con il passare degli anni, diventano più fragili. È una malattia comune che colpisce milioni di donne, ma purtroppo è ancora oggi sottovalutata. Non è quasi mai dolorosa e le persone non si accorgono di soffrirne. Nelle persone a più alto rischio, le ossa sono talmente fragili che anche un piccolo trauma può provocare una frattura.

Si manifesta con un andamento cronico e con una elevata predisposizione alle fratture in quanto l’osso diminuisce di consistenza, diventa poroso e quindi fragile. La vita media dell’uomo si è allungata notevolmente e con l’avanzare dell’età l’osso va incontro ad una diminuzione di consistenza, soprattutto ad una perdita di calcio. La malattia si manifesta in maniera più accentuata nella donna alla quinta e sesta decade di vita. In particolar modo compare dopo la menopausa per un calo della produzione degli ormoni sessuali.

COME SI MANIFESTA ?

L’osteoporosi può essere paragonata a un ladro che furtivamente ruba tessuto osseo. Nell’organismo c’è un continuo ricambio del tessuto osseo da cui il calcio viene costantemente aggiunto e rimosso, in un equilibrio naturale. Quando però l’equilibrio tra il processo di costruzione e demolizione si rompe, densità e spessore delle ossa diminuiscono lentamente dando origine a osteoporosi ed esponendo lo scheletro a rischio di fratture. All’inizio si verificano piccoli schiacciamenti vertebrali che possono provocare dolore. Il dolore può essere presente, più specificatamente nel tratto dorsale e lombare della colonna vertebrale. Si presenta come una fastidiosa e continua dolenzia che può accentuarsi quando ci si alza da posizione seduta. In uno stato più avanzato c’è il rischio di riportare gravi fratture in particolari punti scheletrici quali il femore e il polso.

Un osso osteoporotico è un osso fragile e poco resistente e quasi sempre la prima manifestazione è proprio una frattura spontanea, cioè non dovuta a un forte trauma.

La frattura del femore colpisce inaspettatamente ed è uno dei più gravi e drammatici effetti dell’osteoporosi.

Le conseguenze possono essere devastanti:

  • nel 15% dei casi la frattura del femore causa la morte del paziente per complicanze conseguenti alla frattura (insufficienza respiratoria, scompensi cardiaci, trombo embolia)
  • nel 50% dei casi il paziente mantiene una disabilità motoria.

Solo in Italia, a causa dell’osteoporosi ogni anno si fratturano al femore in media 70.000 donne.
Ciò che preoccupa maggiormente è che con il progressivo invecchiamento della popolazione si avrà un aumento drammatico delle fratture femorali.

COME SI FA A SAPERE SE LE NOSTRE OSSA STANNO BENE ?

Il sistema più sicuro e attendibile è la MOC (mineralometria ossea computerizzata). La MOC serve a misurare la densità della massa ossea e aiuta a individuare le persone a più alto rischio di fratture da osteoporosi. Si esegue a livello della colonna lombare o al femore e verifica se l’osso è normale, se vi è osteopenia (inizio di demineralizzazione ossea) o osteoporosi conclamata (demineralizzazione ossea avanzata).

Tanto minore è la massa ossea, tanto più è alto il rischio di fratture, che si esprime con il valore di T-score: questo indice confronta la densità minerale ossea della persona esaminata con quella di una popolazione di riferimento considerata normale. La diagnosi di osteoporosi per donne in menopausa, secondo l’OMS, si basa appunto sul T-score: se è -1, si parla di osteopenia; se inferiore a -2.5 si parla di osteoporosi.

QUANDO SI EFFETTUA L’ESAME MOC ?

Dopo i 40 anni inizia un lento calo della densità ossea che si accentua nelle donne dopo la menopausa. L’osteoporosi purtroppo non prevede sintomi particolari prima di una possibile frattura. Si sviluppa in silenzio…. Tanto è vero che è stata definita da alcuni “epidemia silenziosa”. Infatti, da un recente rapporto dell’Istituto Superiore della Sanità risulta che una donna su due non sa di essere osteoporotica. È importante informarsi affinché si possano prendere dei provvedimenti per non permettere a una patologia tanto sottovalutata di causare fratture gravi.

La MOC per la sua tecnica innovativa ha dato una svolta allo studio, alla prevenzione e alla diagnosi delle malattie demineralizzanti dell’osso, in particolar modo dell’osteoporosi.

Un esame MOC andrebbe eseguito da:

  • donne e uomini con precedenti fratture non dovute a traumi efficienti (dovute cioè a traumi di lieve entità)
  • donne che sono andate in menopausa prima dei 45 anni (menopausa precoce)
  • chi assume o ha assunto farmaci cortisonici, anticonvulsivanti o anticoagulanti per lunghi periodi
  • chi è molto magro (ad esempio a causa dell’anoressia)
  • chi fuma molto o beve alcolici in eccesso
  • chi assume o ha assunto di recente farmaci antitumorali
  • chi ha gravi carenze alimentari
  • chi ha avuto un genitore, fratelli o sorelle che hanno sofferto di osteoporosi grave (con fratture senza forti traumi).

ESAMI EMATICI E URINARI SVELANO L’OSTEOPOROSI ?

Possono essere effettuati specifici test per valutare la presenza di alcuni indicatori chimici che rivelano la tendenza che ha l’osso ad una rapida o lenta modificazione strutturale. In pratica si può stabilire solamente se esiste una elevata o lenta perdita di specifici componenti della struttura ossea.

È UTILE EFFETTUARE UN ESAME RADIOGRAFICO ?

L’evidenza di caratteristiche alterazioni messe in evidenza dalla radiografia ci permette di svelare una condizione in cui lo scheletro ha perduto oltre il 30% di massa ossea. Questo esame non può quindi essere utilizzato nella prevenzione o per valutare l’efficacia delle terapie.

Esiste però un esame chiamato morfometria vertebrale che viene eseguito su una radiografia della colonna dorsale e lombare e che consiste nella misurazione dell’altezza di ogni singola vertebra in modo tale da diagnosticare eventuali fratture vertebrali.

COME SI PUÒ PREVENIRE L’OSTEOPOROSI ?

Bisogna voler bene alle nostre ossa praticando un corretto stile di vita. È opportuno avere un’alimentazione ricca di calcio e vitamina D, iniziando fin dall’infanzia. In particolari situazioni, come in gravidanza o durante l’allattamento, è consigliato assumere supplementazioni di calcio. Esistono alimenti particolarmente ricchi di calcio, quali specifici formaggi che ne contengono oltre 1 g per ogni 100 g di prodotto. Il formaggio ha inoltre la caratteristica di contenere una quantità di calcio e fosforo che lo rende ancora più ottimale come alimento. Anche alcune acque minerali contengono elevate quantità di calcio (oltre i 300 mg/litro); in commercio esistono derivati del latte arricchiti in calcio, come lo yogurt. Per quanto riguarda la vitamina D possiamo definirla come il principale alleato del calcio. Infatti, grazie alla sua presenza il calcio viene assorbito e utilizzato. La vitamina D si ottiene con l’introduzione di alimenti (ne è particolarmente ricco il pesce azzurro), o per sintesi attraverso la cute con l’irradiazione ultravioletta di specifici precursori. Viene attivata con procedimenti chimici nel fegato e nel rene. Risulta pertanto necessario alimentarsi con cibi che ne contengano in sufficiente quantità ed esporsi alla luce solare. In particolari condizioni è consigliabile attuare una supplementazione di calcio e vitamina D.

Per le donne, nel periodo menopausale è consigliabile effettuare una terapia ormonale sostitutiva. Considerando che l’evento menopausa si presenta intorno ai 50 anni e che la vita media si è allungata a 80 anni, la donna ormai vive circa un terzo della sua esistenza in età climaterica. Con la terapia ormonale sostitutiva si cerca di realizzare un equilibrio tra il calo della produzione ormonale da parte delle ovaie e l’allungamento della vita.

È di fondamentale importanza anche l’attività fisica, che influenza l’osso con stimoli meccanici, facilitandone la robustezza. Evitare quindi di condurre una vita sedentaria.

LA TERAPIA

Lo scopo della terapia è quello di proteggere le ossa in modo che queste non si fratturino. Esistono numerosi farmaci molto efficaci nel prevenire le fratture anche in età avanzata.

Oggi le terapie contro l’osteoporosi sono tante e diverse.

Non è mai troppo tardi per cominciare a curarsi!

È da evidenziare che le terapie per essere efficaci devono essere somministrate per lunghi periodi, ed è quindi consigliabile effettuare regolari controlli della densità ossea con una MOC.

COSA FARE IN CASO DI OSTEOPENIA ?

L’osteopenia è definita come quella condizione ossea per cui vi è una densità minerale al di sotto dei valori di normalità, ma che ancora non può considerarsi osteoporosi. L’osteopenia si presenta frequentemente negli anni immediatamente dopo la menopausa, ma può evidenziarsi anche in giovane età quando l’osso non raggiunge la sua robustezza ottimale. È in questi casi che bisogna attenersi scrupolosamente ai consigli del medico e seguire nel modo più completo una corretta alimentazione e un adeguato stile di vita.

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Lupus eritematoso sistemico (LES) https://www.reumaonline.it/lupus-eritematoso-sistemico-les/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=lupus-eritematoso-sistemico-les https://www.reumaonline.it/lupus-eritematoso-sistemico-les/#respond Wed, 11 Nov 2009 13:55:46 +0000 http://www.reumaonline.it/2009/11/11/lupus-eritematoso-sistemico-les/

Prof. Matteo Piga e Prof. Alberto Cauli.

Unità Operativa Complessa di Reumatologia, Policlinico di Monserrato, AOU e Università degli Studi di Cagliari.

CONTENUTI:

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia infiammatoria cronica causata da un’attivazione incontrollata e prolungata del sistema immunitario. Questa iperattività del sistema immunitario determina la produzione di autoanticorpi, che sono diretti contro le cellule e i tessuti sani dell’organismo e sono alla base dell’infiammazione cronica. Il LES si può manifestare con sintomi differenti da paziente a paziente, ma la sua caratteristica principale è quella di essere caratterizzata dall’alternarsi di periodi di acuzie e di periodi di benessere o remissione. Il LES colpisce più frequentemente le giovani donne nell’età compresa tra i 15 e i 45 anni, ma si può manifestare in persone di qualsiasi età. La prevalenza del LES in Sardegna è stimata in 1 malato ogni 1.000 abitanti.

Il LES è una malattia complessa di cui non si conoscono le cause. Si ritiene che il LES si sviluppi per l’effetto di una combinazione sfortunata di fattori genetici, ambientali ed ormonali, che entrano in gioco insieme nel determinare la malattia. In soggetti geneticamente predisposti l’azione di fattori ambientali, tra cui gli agenti infettivi, il sole, lo stress, il fumo di sigaretta, può indurre lo sviluppo della malattia. Pertanto, il LES non è una malattia contagiosa né si trasmette in modo ereditario diretto dai genitori ai figli, o dai nonni ai nipoti, anche se è dimostrato che chi ha un parente affetto da LES ha un rischio maggiore di sviluppare la malattia. Ciononostante, non è necessario che i parenti sani di persone affette da LES si sottopongano a test genetici, o altri esami, perché non esiste al momento alcun test che sia in grado di identificare preventivamente ed efficacemente se e quando si svilupperà la malattia. In caso di comparsa di sintomi suggestivi sarà opportuno rivolgersi ad uno specialista per un’eventuale diagnosi precoce.

Le manifestazioni cliniche del LES

Nonostante le manifestazioni cliniche e l’evoluzione della malattia siano differenti da paziente a paziente esistono dei segni caratteristici che permettono una diagnosi accurata di malattia. Oltre alle manifestazioni generali, come la profonda stanchezza (detta anche astenia), il gonfiore dei linfonodi superficiali e la febbricola, le manifestazioni più frequenti sono quelle articolari e cutanee. Le manifestazioni articolari, caratterizzate da dolore nelle prime ore del mattino e al risveglio (artralgie infiammatorie) che colpisce più frequentemente le mani, possono essere fugaci e lievi oppure assumere un carattere costante e intenso con associazione a tumefazione e difficoltà nel movimento (artrite) soprattutto all’inizio della giornata. Le manifestazioni cutanee possono essere indotte dall’esposizione solare e sono caratterizzate da bruciore e arrossamento a livello del volto nella regione del naso e degli zigomi (eritema “a farfalla”) ma sono frequentemente interessati anche orecchie, collo, V del petto, braccia, spalle e il cuoio capelluto. Spesso i pazienti riferiscono una facile perdita di capelli e possono essere presenti afte/ulcere del cavo orale oltre alla comparsa di “geloni” alle mani.

L’interessamento degli organi interni delinea un quadro generalmente più severo di LES, che necessita di un trattamento più aggressivo per evitare una perdita di funzionalità degli organi colpiti. L’infiammazione del rene (glomerulonefrite) può comprometterne la capacità di eliminare i prodotti di scarto dell’organismo. La glomerulonefrite può essere asintomatica ma può manifestarsi con la comparsa improvvisa di aumento dei valori della pressione arteriosa o di gonfiore ad entrambe le caviglie (edema), inoltre è importante eseguire l’esame delle urine per identificare precocemente la presenza di globuli rossi o proteine che possono essere una manifestazione anche precoce dell’infiammazione dei reni. Nel LES si può verificare un’infiammazione della membrana che riveste i polmoni (pleurite) e il cuore (pericardite) che si manifesta in genere con dolore toracico durante il respiro profondo o quando il paziente assume determinate posizioni. Più raramente si osserva una infiammazione del polmone in sé (polmonite lupica) o del cuore (miocardite). Le cellule del sangue possono essere colpite in corso di LES per cui si determina una riduzione del loro numero agli esami del sangue; in casi gravi la riduzione delle piastrine (piastrinopenia) può determinare la comparsa di lividi spontanei o emorragie congiuntivali e gengivali mentre l’anemia emolitica può essere severa per la sua rapida insorgenza. Infine, tra le manifestazioni più severe del LES vanno annoverate quelle a carico del Sistema Nervoso che include il cervello e i nervi e che possono manifestarsi con mal di testa molto intenso e resistente ai farmaci, convulsioni, depressione, allucinazioni e anche episodi di ictus per trombosi delle arterie cerebrali, specialmente in caso di presenza dei cosiddetti anticorpi antifosfolipidi.

Diagnosi di LES

Una corretta e tempestiva diagnosi di LES richiede esperienza da parte del medico ed una buona comunicazione tra medico e paziente. La raccolta accurata della storia del paziente, la visita medica e gli esami di laboratorio sono fondamentali per la diagnosi e per l’esclusione di altre condizioni cliniche che possono associarsi o mimare i sintomi del Lupus. Gli esami più utili ai fini della diagnosi dipendono in parte dal tipo di manifestazioni cliniche. Ad esempio, in caso di sospetta glomerulonefrite potrebbe essere necessaria una biopsia del rene oppure in caso di pleuro-pericardite una Rx o TAC dei polmoni ed una ecografia del cuore. I test più specifici sono rappresentati dalla ricerca degli autoanticorpi nel sangue. Tra essi i più importanti sono gli anticorpi antinucleo (ANA), anticorpi anti-DNA e anti-ENA (tra cui anti-Sm, anti-Ro e anti-La) e gli anticorpi anti-fosfolipidi. Alcuni esami di laboratorio devono essere eseguiti solo alla diagnosi, altri invece sono utili anche nel monitoraggio dell’andamento di malattia e nella valutazione degli effetti collaterali di farmaci come ad esempio la conta completa dei globuli bianchi, rossi e piastrine, l’esame delle urine, il dosaggio delle proteine del complemento (C3 e C4).

Decorso clinico del LES

Il LES ha nella maggior parte dei casi un decorso recidivante, in cui fasi di attività della malattia si alternano a fasi di remissione, ma si riconoscono anche un decorso in cui la malattia è cronicamente attiva e uno in cui il paziente gode di una remissione prolungata. Come conseguenza dell’attività di malattia, e quindi dell’infiammazione, può svilupparsi un danno d’organo irreversibile che influenza in modo negativo la qualità di vita dei pazienti.

La diagnosi precoce e l’inizio precoce della terapia sono associati ad un migliore decorso della malattia. Inoltre, è noto che i fattori ambientali giocano un ruolo decisivo nel determinare il decorso e le conseguenze del LES, per questo è necessario abolire l’abitudine al fumo di sigaretta, ridurre i livelli elevati di grassi nel sangue, praticare regolarmente attività fisica di intesità compatibile con le proprie condizioni, evitare l’esposizione sregolata ai raggi UV e aderire in maniera precisa al programma terapeutico concordato con il proprio medico.

Il trattamento del LES

Gli obiettivi del trattamento sono il controllo dei sintomi, la prevenzione di eventuali riattivazioni e la prevenzione del danno d’organo e delle sue complicanze. Nel trattamento del Lupus vengono usati numerosi farmaci in combinazione tra loro, somministrati in base ai sintomi accusati dal paziente. Molto spesso è necessario ricorrere all’utilizzo di cortisone: basse dosi in caso di manifestazioni cutanee o articolari, dosi moderate o elevate quando sono coinvolti gli organi interni. Tuttavia, l’uso del cortisone è gravato da effetti collaterali a breve termine, come aumento dell’appetito, incremento del peso, modificazioni dell’umore, che regrediscono alla riduzione della dose assunta o alla sospensione della stessa, e da effetti collaterali a lungo termine come l’assottigliamento della pelle, l’indebolimento dell’osso (osteoporosi), l’aumento della pressione arteriosa e oculare, la cataratta e il diabete. Tali effetti collaterali sono legati alla dose quotidiana e alla durata del trattamento e devono essere prevenuti (quando il quadro clinico lo consente) cercando di ridurre più rapidamente possibile la dose del cortisone somministrando farmaci “risparmiatori di cortisone” come immunomodulanti o quando necessario immunosoppressori. Tra i farmaci immunomodulanti, tutti i pazienti dovrebbero assumere l’idrossiclorochina a meno che non sia controindicata. I farmaci immunosoppressori sono necessari nelle forme resistenti o severe di malattia; essi vengono generalmente identificati sulla base delle manifestazioni cliniche del paziente, dell’età e delle potenziali controindicazioni.

Quando il LES presenta manifestazioni più severe, il paziente necessita di farmaci “immunosoppressori”, capaci cioè di ridurre l’attività del sistema immunitario, principale responsabile della malattia. Tali farmaci possono essere somministrati (sempre in associazione al cortisone) per bocca o in infusione endovenosa, per controllare le manifestazioni renali, neurologiche, articolari o polmonari di malattia. Oltre alla terapia farmacologica è molto importante l’adeguamento dello stile di vita e la messa in opera di strategie concordate con il proprio specialista per prevenire le recidive o, ad esempio, la pianificazione della gravidanza. In definitiva un elemento fondamentale per il corretto trattamento del paziente affetto da LES è quello di ricevere cure regolari, anche nella fase di remissione della malattia, piuttosto che intervenire solo nel momento in cui i sintomi peggiorano.

 

 

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Fibromialgia https://www.reumaonline.it/fibromialgia/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=fibromialgia https://www.reumaonline.it/fibromialgia/#respond Wed, 11 Nov 2009 13:55:10 +0000 http://www.reumaonline.it/2009/11/11/fibromialgia/

DEFINIZIONE

La fibromialgia (o meglio la sindrome fibromialgica) è un quadro patologico contraddistinto da dolori diffusi dell’apparato motorio che si presentano inizialmente localizzati nel tratto cervicale o lombare e si diffondono, nel corso di qualche mese o anno, nell’intero sistema. Circa il 90% dei pazienti è di sesso femminile.

La malattia si dichiara al verificarsi di un evidente aumento di sensibilità alla pressione in determinati punti (tender points) e di un complessivo abbassamento della soglia del dolore. Accanto al sintomo dolore, che è predominante, si presentano quasi sempre evidenti disturbi vegetativi e funzionali, abbattimento, disturbi del sonno, instabilità dell’umore.

I comuni esami di laboratorio e la diagnostica per immagini non mostrano alcuna alterazione.

L’eziologia della sindrome rimane tuttora sconosciuta. Fattori aggravanti possono essere infezioni virali, stati di sovraffaticamento fisico o psichico, fattori climatici (umidità, freddo), farmaci, traumi, operazioni chirurgiche, eventi dolorosi o drastici cambiamenti di vita.

DECORSO

I primi sintomi compaiono di solito intorno ai 35 anni, per poi diffondersi e generalizzarsi intorno ai 45-55. Giovani e anziani ne vengono colpiti solo di rado.

Dal momento in cui si instaura il quadro patologico completo al momento della diagnosi passa di solito molto tempo, in media sette anni. A causa della molteplicità e varietà dei sintomi il paziente percorre, di solito, una vera e propria odissea medica, durante la quale riceve molte diverse diagnosi e terapie. Studi comparativi mostrano che i pazienti fibromialgici subiscono un numero tre volte maggiore di operazioni chirurgiche rispetto al gruppo di controllo.

La malattia decorre in fasi di mesi o settimane, alternando periodi di remissione parziale o totale ad altri di ricomparsa e intensificazione della sintomatologia. Quasi sempre si verifica un aggravamento con l’arrivo della brutta stagione.

FIBROMIALGIA SECONDARIA

Numerose malattie reumatiche infiammatorie (per esempio, artrite reumatoide) sono a volte accompagnate da una sintomatologia fibromialgica. Questa cosiddetta fibromialgia secondaria è quasi identica alla forma primaria. La terapia, invece, sarà necessariamente diversa, in quanto occorrerà affiancare alla terapia sintomatica (v. sotto) il trattamento della patologia principale.

DIAGNOSI

Esami di laboratorio e diagnostica per immagini

Come stabilire con certezza se si soffre di fibromialgia o no?

I comuni esami di laboratorio non danno alcun risultato che possa spiegare i molti diversi sintomi, né servono a chiarirli i mezzi diagnostici per immagini: radiografie, ecografie, TAC, scintigrafie risonanze magnetiche (RMN) o tomografie ad emissione di positroni (PET).

Per il paziente, la mancanza di evidenze dimostrabili è spesso molto difficile da comprendere e da sopportare. Deluso, egli si sottopone dunque a nuovi esami, nella speranza di “avere finalmente qualcosa in mano”. È probabile che con una ricerca così accurata si finisca per trovare “qualcosa che non va”, perché nessuno mai è del tutto perfetto. Queste scoperte casuali vengono assunte come spiegazione di tutto il quadro sintomatico e possono portare facilmente a una terapia sbagliata.

Non solo ciò che si può misurare conta davvero

Questa situazione genera nel paziente la paura di non essere preso sul serio dal suo medico, la paura che questi lo consideri nevrotico o ritenga addirittura che sia tutto una sua invenzione.

Purtroppo questi timori non sono del tutto ingiustificati. Molti medici prendono sul serio i sintomi solo quando corrispondono a uno stato organico chiaramente identificabile. Dietro a questa convinzione giace un modo di intendere la salute e la malattia che riconosce per vere soltanto variazioni dalla norma che siano visibili o misurabili. C’è malattia, allora, solo quando i valori di laboratorio sono alterati, quando si possono riconoscere danni o alterazioni nelle immagini radiografiche o quando esami istologici rilevino evidenti alterazioni dei tessuti. La fibromialgia invece offre un quadro patologico in cui non si verifica alcuna variazione, o quasi, nella struttura delle singole parti: è la funzione a subire importanti modifiche.

Come diagnosticarla ?

Sono stati stabiliti alcuni criteri di base piuttosto chiari che mettono in condizione qualunque medico di diagnosticare una fibromialgia in poco tempo. Il protocollo più conosciuto è la definizione elaborata nel 1990 dal Collegio Americano di Reumatologia: si tratta di fibromialgia quando:

  • il paziente lamenta dolori diffusi da più di tre mesi. Con il termine diffusi si intende presenti sia nella colonna vertebrale (soprattutto lombare e cervicale) sia in entrambi gli arti superiori e inferiori;
  • Il paziente percepisce come dolorosa una pressione di 4 kg su almeno 11 dei 18 punti detti tender points;

La definizione elaborata nell’ambiente medico tedesco distingue fra criteri principali e secondari:

Criteri principali

  • dolori alla schiena e in altri due diversi distretti del corpo (braccia o gambe) per più di tre mesi;
  • dolore in almeno 12 dei 24 tender points a una pressione effettuata col pollice di 4 kg, o dei corrispondenti 2 kg se effettuata col dolorimetro.

Criteri secondari

  • presenza di almeno 7 dei seguenti 14 sintomi: estremità fredde (mani, piedi, punta del naso), secchezza della bocca, sudorazione abbondante, problemi circolatori (vertigini, pressione bassa), tremori alle mani, disturbi del sonno, disturbi intestinali, senso di avere la gola chiusa, disturbi respiratorii, disturbi cardiaci, iperestesie o parestesie (senso di sordità, ipersensibilità della pelle), disturbi della vescica, mal di testa o emicrania;
  • depressione o alterazioni della personalità e dell’umore.

È corretto emettere una diagnosi di fibromialgia in presenza di entrambi i criteri principali o, in casi dubbi, in presenza di un criterio principale e uno secondario.

SINTOMI

La malattia, raggiunta la sua piena manifestazione, colpisce il paziente con una serie di sintomi svariati.

  • Al primo posto vengono i dolori, costanti anche in stato di riposo. Circa il 50 % dei pazienti lamenta dolori in tutto il corpo. Oltre alla colonna vertebrale, di solito vengono colpite anche le braccia e le gambe; solo in alcuni casi il paziente lamenta dolori circoscritti in una specifica zona del corpo, per esempio le spalle.
  • Sono particolarmente dolenti alcuni punti di transizione fra muscolo e tendine, i già citati tender points, che hanno un ruolo determinante nella diagnostica.
  • Un altro sintomo è la generale irritabilità nervosa: ipersensibilità della pelle, dell’olfatto, dell’udito.

Mal di testa ed emicrania

  • A parte il dolore, la maggior parte dei pazienti si sente abbattuta, depressa o ansiosa.
  • Più della metà dei pazienti soffre di intensi dolori di testa, che in genere provengono dalla nuca e raggiungono la fronte o sono localizzati intorno agli occhi o alle tempie.
  • Alcuni pazienti soffrono anche di emicrania: dolori localizzati solo in un lato della testa, associati a nausea e ipersensibilità alla luce e al rumore.

Gonfiori e rigidità

  • I pazienti lamentano una notevole rigidità mattutina e la sensazione di avere le articolazioni gonfie, anche se il gonfiore non risulta visibile.
  • Si manifestano invece gonfiori intorno agli occhi, alle guance e sulle dita, e la mattina al risveglio il naso risulta sempre ostruito. Le pazienti soffrono di sensazioni di tensione al seno e nel basso ventre, che prima e durante le mestruazioni possono aumentare notevolmente fino a diventare veri e propri crampi.

Stanchezza e stordimento

  • Stanchezza, a volte estrema, e stordimento sono i sintomi più importanti della fibromialgia. Questo stato di completo abbattimento è presente in quasi tutti i pazienti e rende loro la vita molto difficile. Spesso è così pronunciato da rendere quasi impossibile la prosecuzione di una normale vita lavorativa.
  • La capacità lavorativa viene messa ulteriormente a dura prova da disturbi della concentrazione: i pazienti lamentano senso di stordimento, vuoti di memoria, disturbi della memoria a breve termine, la sensazione di essere “dietro un vetro opaco” o un rallentamento complessivo delle facoltà. Nell’ambiente medico americano questo stato di annebbiamento viene comunemente chiamato fibrofog (in inglese fog=nebbia).
  • Altrettanto frequenti sono i disturbi del sonno. I pazienti hanno il sonno leggero, si svegliano spesso senza poi riuscire a riaddormentarsi, e soprattutto non si sentono affatto riposati anche quando hanno dormito.

Sintomi gastro-intestinali

  • Vomito, senso di pienezza, bruciori di stomaco, frequenti rumori nella pancia, meteorismo, diarrea o stitichezza non mancano quasi mai.
  • In un numero sorprendente di pazienti si riscontrano allergie, che possono andare da un leggero raffreddore da fieno fino a gravi casi di asma.
  • I pazienti fibromialgici di solito sono molto sensibili al freddo e mostrano disturbi della circolazione periferica, dalle estremità fredde fino alla sinrome di Raynaud.
  • Altrettanto spesso si presenta anche una sindrome del tunnel carpale: il restringimento della guaina di uno o più nervi, in particolare nelle mani e nei polsi, che provoca forti dolori alle braccia.
  • I disturbi del sistema circolatorio con vertigini non sono pericolosi, ma diminuiscono ulteriormente la qualità della vita del paziente.

UNA MALATTIA ENIGMATICA

Da alcuni anni si presentano sempre più numerosi, negli studi medici, pazienti che lamentano sintomi che è quasi impossibile attribuire a questa o quella malattia nota. Essi denunciano un incredibile guazzabuglio di tanti sintomi diversi, che sfugge a ogni tentativo di sistematizzazione. Cos’è questa strana malattia? Il racconto che segue è un esempio tipico della via crucis di un malato di fibromialgia; certo non è generalizzabile (si possono presentare altri quadri sintomatici, in una diversa successione), ma è tipica nel suo sovrapporsi e sommarsi dei singoli sintomi.

La carriera-tipo del malato fibromialgico

La paziente è stata sempre bene. Poco prima del 40° compleanno le viene un “colpo della strega”; il fastidioso dolore scompare ben presto ma segna l’inizio di una catena di malattie. Pochi mesi dopo si presenta una serie di contratture alla schiena, che genera un tenace mal di testa. Mezzo anno dopo compaiono i sintomi al sistema digerente: vomito, senso di pienezza, aria nella pancia, diarrea alternata a fasi di stitichezza. Il sistema digestivo preme contro il diaframma, la paziente ha difficoltà a respirare liberamente: compaiono episodi di vertigini.

I sintomi cambiano d’intensità e compaiono di volta in volta in ordine diverso, ma nel corso degli anni diventano sempre più numerosi: sindrome del tunnel carpale, vescica irritabile, secchezza della bocca, dolori mestruali … alla fine la paziente non è più in grado di localizzare il dolore né di dire quale sia il sintomo più acuto. I dolori muscolari, poi, sono semplicemente dappertutto!

La fibromialgia non è una malattia immaginaria

Il paziente consulta, nel corso del tempo, dozzine di medici. Si cerca tutto il cercabile, si fanno radiografie ad ogni singola articolazione; ma il risultato è sempre lo stesso: “É tutto in perfetto ordine. Lei non ha niente!”. Spesso alla fine il paziente e il medico curante si convincono che la malattia sia di natura psichica.

Eppure la fibromialgia non è una nevrosi. I medici consultati hanno quasi tutti effettuato diagnosi corrette, dal loro specifico punto di vista, ma non sono riusciti a cogliere il senso del quadro complessivo. In questi casi non si tratta di una serie di malattie diverse, ma di una sola: la fibromialgia.

Il primo passo si compie nella testa: occorre rendersi conto di alcune realtà e di prendere atto della malattia.

Il paziente deve sapere

È importante sapere che: soffrite di una malattia ben precisa, non è colpa vostra se è ancora poco conosciuta.

Nonostante vi sentiate giù di morale, non significa che siete matti. Il vostro abbattimento è sostanzialmente una delle conseguenze della malattia.

La fibromialgia è una malattia che influisce pesantemente sulla vita del paziente, senza provocare alcuna alterazione alla sua struttura corporea. Non ha conseguenze a lungo termine, non deforma le articolazioni, non ingobbisce eccetera. E soprattutto non finirete mai sulla sedia a rotelle.

La diagnosi di fibromialgia è relativamente facile; rinunciate, dunque, a sottoporvi a esami a tappeto per confermarla. Occorre tuttavia escludere con certezza una malattia infiammatoria acuta; per farlo bastano alcuni esami di laboratorio relativamente semplici, che possono essere richiesti dal medico di base.

Imparate ad accettare che questa malattia non porta alterazioni corporee visibili: più vi fate visitare, più avrete risultati significativi; è più facile che ne otteniate invece maggiore confusione e più diagnosi sbagliate. Per riprendere un esempio già citato: se si forma un ingorgo, è del tutto inutile fare la piò accurata ispezione meccanica a ogni singola auto, non dipende da loro!

A lungo termine si dovrebbe verificare un miglioramento; possono volerci molti anni, ma nella maggior parte dei casi i sintomi si alleviano molto.

Potete fare voi stessi qualcosa per migliorare: quanto più attivamente vi ponete nei confronti della malattia, tanto maggiori sono le vostre possibilità di guarigione.

All’inizio, però, non ponetevi traguardi irrealistici: a seconda dello stadio in cui si trova la malattia ci vuole più o meno tempo per ottenere un miglioramento. Con la fretta non raggiungerete niente: datevi il tempo di compiere un passo dopo l’altro.

Non siete soli con la vostra malattia

Ne soffrono in molti. Cercate di mettervi in contatto con altri fibromialgici. Sarebbe anche augurabile che foste seguiti da un medico che vi comprenda e vi dia le spiegazioni che chiedete e sia disposto a informarsi.
In Italia non esistono ancora gruppi di auto-aiuto come in molti altri Paesi del mondo. Questo sito vuole essere anche un punto di partenza per aprire l’argomento a livello divulgativo e pratico, e insieme un punto di contatto per i pazienti già diagnosticati o per coloro che si riconoscono nella descrizione della malattia. Sono questi ad avere più che mai bisogno di informazioni per sé e per il proprio medico.

Distendersi e non prendere la malattia “di punta”

Nella terapia della fibromialgia si cerca di influenzare i circoli viziosi che la favoriscono. È importante interrompere il circolo vizioso “dolore-tensione-paura-nuovo dolore”. LA MALATTIA NON È IL NEMICO. Si tratta di cominciare facendo un passo dentro di sé: provate ad accettare che in questo periodo la malattia è più forte di voi e non si lascia combattere con la violenza. Forse questo vi sconcerà; dato che vi ho appena consigliato di comportarvi in maniera attiva verso la malattia. È vero, ma non si tratta affatto di combattere. La malattia in questo periodo fa parte di voi e costituisce una parte della vostra personalità, proprio come le parti del vostro carattere che apprezzate di meno: ci faranno arrabbiare, magari, ma non le possiamo cancellare. Al contrario, tanto più combatterete tanto maggiori saranno la tensione e i disturbi. Le cose cambiano solo in maniera graduale e dolce: formate un team col vostro corpo e cercate insieme una via d’uscita dalla situazione attuale.

Formare un team

Lo stesso vale per l’aiuto dall’esterno: non potrete trovare alcun esperto in grado di liberarvi di colpo dei vostri problemi. Se andate dal medico con questa speranza, ne uscirete sempre amaramente delusi: il tentativo di attaccare la malattia con mezzi sempre più duri lascerà tutti sconfitti e delusi.

Questa escalation aggressiva è frequente nei trattamenti della fibromialgia: i pazienti fibromialgici vengono operati tre volte più spesso dei corrispondenti pazienti con altre patologie. La maggior parte di quelle operazioni è del tutto insensata e corrisponde a una dichiarazione di impotenza e di ignoranza della malattia. Formate un team, un gruppo di lavoro con il medico, l’istruttore di ginnastica, l’eventuale fisioterapista o massaggiatore e così via, e collaborate tutti insieme nella ricerca di una via d’uscita percorribile, in cui ognuno sostiene il lavoro dell’altro ma nessuno è onnisciente.

LA PROGNOSI

La fibromialgia è una malattia cronica che ha un decorso di anni, spesso associato a sofferenze di lunga durata, ma non porta ad alcuna alterazione delle articolazioni o di altri organi. Non si verificano, ad esempio, le deformazioni o le limitazioni funzionali tipiche dell’artrite reumatoide. Di conseguenza l’esito della malattia non è la sedia a rotelle, come spesso, comprensibilmente, temono i pazienti.

È difficile prevedere la durata della malattia in ogni singolo caso. Studi basati su grandi numeri hanno rilevato un periodo di presenza dei sintomi che va dai 15 anni in su. Ma non lasciatevi spaventare! I singoli casi sono molto differenti fra loro; di solito i dolori diminuiscono col passare del tempo. Molti pazienti (purtroppo non tutti) stanno decisamente meglio una volta superati i 60 anni. Il ventaglio dei sintomi va dalla quasi totale assenza di sintomi a una sintomatologia leggera, attraverso determinate limitazioni fino a dolori quasi insopportabili, dai quali fortunatamente viene colpita solo una minoranza di pazienti (meno del 10%). La terapia è fondamentale per la prognosi: quanto più il paziente si comporta in maniera attiva e consapevole nei riguardi della malattia, tanto più riesce a ridurne il decorso complessivo.

FIBROMIALGIA E SONNO

Un sonno disturbato è uno dei più tipici sintomi della fibromialgia. Quasi nessun paziente ne viene risparmiato. Un cattivo sonno non solo genera stanchezza, ma rafforza anche i dolori. Si arriva presto al circolo vizioso poco sonno-più dolore-ancora meno sonno. Cosa fare?

I sonniferi servono a poco: nel giro di poco tempo ci si abitua, la loro efficacia si riduce, così occorre aumentare il dosaggio fino a non poterne fare più a meno. E non è detto che questo favorisca un buon sonno: i sonniferi riducono le fasi veramente riposanti del sonno, così che al mattino dopo vi sentite stanchissimi anche se siete riusciti a dormire qualche ora.

Occorre rivolgersi ad altri sistemi

Non “costringete” il sonno: è figlio della libertà, se non viene da solo non sarà costringendosi a stare a letto che lo otterrete. Otterrete solo di associare il letto al timore di non riuscire a trovare riposo, il che genererà un’altra notte senza sonno. Se nel giro di un tempo ragionevole, per esempio una ventina di minuti, non vi siete addormentati, alzatevi!

La qualità del sonno dipende anche da quello che avete fatto durante la giornata. Un po’ di attività fisica (vedi) una sauna o un bagno caldo, favoriscono il sonno. Non andate a dormire subito dopo aver mangiato: la digestione richiede alcune ore, in stato di veglia! Quanto tempo debba passare, dipende da quello che avete mangiato; tre ore sono una media ragionevole. Un suggerimento: i carboidrati complessi (pane integrale, patate o pasta integrale) favoriscono il rilascio di serotonina, e dopo averli mangiati si dorme meglio che non dopo avere mangiato salumi o carne.

Una tisana la sera (luppolo, melissa o valeriana) e la lettura di un libro non troppo eccitante possono aiutare a prendere congedo dalla giornata. Quanto alla TV, i film gialli o pieni di suspense non sono l’ideale per chi ha il sonno difficile!

L’alcol aiuta a dormire? É solo un’illusione. Ha un’azione prima eccitante, poi rilassante, ma solo in forti dosi, ma l’effetto sedativo dura poco, e vi ritrovate sveglissimi di prima mattina. Per non parlare dei danni al fegato…

Anche le sigarette non aiutano il sonno, per cui se avete sempre pensato di smettere di fumare forse questo è proprio il momento buono.

Solo quando questi suggerimenti non hanno portato nessun miglioramento, ci si può rivolgere a un aiuto farmacologico, meglio se naturale perché non dà alcun danno. Valeriana, luppolo, melissa e fiore della passione sono usati da secoli per favorire il sonno. Attenzione: la maggior parte dei preparati in commercio hanno dosaggi troppo bassi, inefficaci nel nostro caso. La valeriana, ad esempio, deve essere presa in ragione di circa 2-3 grammi per mostrare un qualche effetto.

Ci sono situazioni in cui è semplicemente indispensabile dormire per quella notte (un esame, un impegno importante di lavoro, etc.). Solo in quel caso si può ricorrere a un sonnifero (o tranquillante: diazepam, [Valium] o temazepam), ma è importante ricordare che si tratta di una soluzione temporanea.

FIBROMIALGIA E PSICHE

Una delle domande più frequenti sulla fibromialgia è senza dubbio: “Si tratta di una malattia di origine psichica?”. La ricerca internazionale che sta studiando la sindrome se n’è occupata a fondo negli ultimi vent’anni, ed è giunta alla conclusione che non lo è. È un dato molto importante, perché quasi tutti i pazienti prima o poi si sono sentiti dire che sono troppo ansiosi, che sono nevrotici, i loro sintomi sono pura immaginazione. È un duro colpo; nella migliore delle ipotesi si sentono incompresi, nella peggiore dubitano della propria salute mentale e si colpevolizzano di essere malati. Questa affermazione è sicuramente sbagliata. Se soffrite di fibromialgia non lasciatevi convincere che dipende tutto dalla vostra psiche. La malattia è già pesante da sopportare senza che dobbiate essere caricati anche di sensi di colpa!

La fibromialgia non è una malattia psichica!

Questo non vuol dire la psiche non la influenzi affatto. È naturale che una malattia che ha un peso così grande nella vita quotidiana abbia conseguenze sullo stato psichico. Come la maggior parte delle malattie croniche, la malattia provoca anche uno stato di abbattimento, di tristezza, o di depressione. Che a loro volta influiscono negativamente sullo stato fisico del paziente.

Abbiamo a che fare, dunque, con un complesso circolo vizioso, nel quale lo stato psichico è uno dei tanti fattori, ma certo non l’origine prima della malattia. È vero, anche le depressioni – specie quelle dette “larvate” o “nascoste” – provocano sbalzi d’umore, disturbi del sonno, dolori di testa o di pancia, bocca secca, disturbi cardiaci e molti altri sintomi comuni alla fibromialgia. Ma ci sono segni evidenti che distinguono quest’ultima dalla depressione larvata: i sintomi fisici nel depresso sono il più delle volte variabili, migranti e meno definibili che non nel fibromialgico. Ma soprattutto è determinante il fatto che nel depresso non si evidenzia dolore nei famosi tender points!

I cambiamenti nello stato psichico del paziente si spiegano come una conseguenza della malattia cronica. Provare dolori forti per anni, disturbi del sonno e sentirsi incompresi sul proprio stato turberebbe chiunque. Lo stato d’animo abbattuto è più che comprensibile.

Sarebbe strano il contrario: soffrire di tutti questi disturbi e limitazioni e non lasciarsene affatto turbare!

C’è un modo per migliorare lo stato psichico e l’umore del paziente?

Non tutti hanno bisogno dello psichiatra o dello psicoterapeuta. Ogni cambiamento sostanziale del comportamento e della vita quotidiana o un colloquio intensivo con una persona di fiducia, partner o amico, ha già valenze terapeutiche.

Il vostro stato dipende anche dal modo in cui riuscite a prendervi cura di voi stessi nell’ambito della malattia.

IL RAPPORTO CON IL MEDICO

È di grande aiuto trovare un medico – reumatologo o medico di base – che vi comprenda. Può volerci un po’ di tempo prima di trovare qualcuno che possa valutare correttamente tutto il quadro della malattia. Siate tenaci, però, e non lasciatevi riempire di dubbi se incappate in qualcuno che fa orecchie da mercante davanti ai vostri sintomi. Ciò che il medico non conosce, non lo può neanche diagnosticare, comprendere né curare.

FIBROMIALGIA E RAPPORTO DI COPPIA

Ogni malattia, specie se di lunga durata, influisce sul rapporto di coppia. Vivere con una malattia cronica, per una coppia, è una condizione che richiede ad entrambi una notevole maturità psichica e affettiva. Per la coppia è come avere in casa un ospite indesiderato che si intromette di continuo. Non lasciate che diventi il padrone di casa, il protagonista assoluto.

È importante che il fibromialgico si convinca che non può superare la malattia “con la forza della volontà” o con i suoi soli mezzi, e non si senta in colpa ad essere meno efficiente di prima. Allo stesso tempo è importante che il suo partner prenda sul serio le difficoltà e non lo metta continuamente alla prova. Ognuno dei due ha bisogno della comprensione e del sostegno dell’altro: il malato perché si trova in una condizione oggettivamente faticosa e difficile, il partner perché non è facile vivere con qualcuno che si ama e che si vede soffrire di continuo.

Il partner comprensivo e collaborante a volte si sente in colpa per la scarsa efficacia di tutti i suoi sforzi: “non c’è modo di farlo/la sentire meglio, sono un incapace”. Occorre che si convinca che non è in suo potere agire efficacemente contro la malattia dell’altro. Un aiuto concreto però (portare una valigia pesante o i pacchi della spesa, un massaggio alla sera, etc.) può essere di grande importanza non solo per alleviare la fatica e il dolore dell’altro ma anche per il messaggio di cura e di affetto che trasmette.

A nessuno verrebbe in mente di pretendere che la propria automobile funzioni bene per anni senza interventi di manutenzione, senza mai cambiare l’olio o sostituire i pezzi usurati. Eppure è quello che si vede accadere in molte coppie, che ritengono che il rapporto possa benissimo andare avanti da sé purché ci si ami davvero.

Anche il rapporto di coppia, invece, necessita di manutenzione, tanto più se messo alla prova da una condizione difficile come la malattia di uno dei suoi membri. Si tratta di mantenere viva e attraente la relazione, di rinsaldare un legame che si dà troppo spesso per scontato. Farsi una sorpresa ogni tanto è un buon metodo: una cena a lune di candela, una lettera affettuosa, un piccolo regalo al di fuori di ogni ricorrenza, un fiore, i biglietti per uno spettacolo teatrale, un weekend da soli in un bel posto: ognuno metterà in moto la fantasia per trovare di volta in volta la sorpresa più gradita.

UN TENTATIVO DI DEFINIRE UN MODELLO INTEGRATO

Cerchiamo di mettere insieme i singoli elementi costitutivi della malattia a formare un modello organico. Questo non potrà essere altro che un tentativo: la causa prima dell’insorgere della malattia è ancora sconosciuta. Ci sono noti solo alcuni elementi della vicenda del malato fibromialgico; è probabile che ci manchino ancora conoscenze importanti, o che queste si nascondano dietro fenomeni già noti.

Si può già dire con certezza che la malattia non abbia una sola, singola causa, e neanche una causa prevalente.

Nell’insorgenza della fibromialgia concorrono molti fattori (in terminologia medica è detta una “patologia multifattoriale”), ognuno dei quali, di per sé, è relativamente innocuo. La malattia può comparire solo quando tutti questi fattori si presentano tutti allo stesso tempo, rinforzando reciprocamente la propria incidenza. Esaminiamo insieme alcune delle catene causali coinvolte nel fenomeno.

La condizione della schiena è di importanza decisiva: nella grande maggioranza dei casi i primi sintomi si presentano proprio a suo carico. Sovraccarico, immobilità o e vizi di carico della colonna vertebrale sono condizione necessaria all’insorgere della malattia.

In alcuni pazienti la fibromialgia insorge dopo anni di lavori pesanti, ma statisticamente si tratta della minoranza: sono molto più numerose le persone che soffrono di mal di schiena senza svolgere un’attività fisica importante. Esse presentano un indebolimento della muscolatura, il che comporta, al minimo sforzo, un sovraccarico dell’apparato posturale e motorio.

  • Le cause scatenanti possono essere anche di origine traumatica, come incidenti d’auto con “colpi di frusta” o sublussazioni vertebrali. Altri fattori di rischio sono lo stato di sovrappeso protratto per anni, la differenza di lunghezza delle gambe (dismetria), le malformazioni della colonna vertebrale.
  • L’interrelazione dei meccanismi posturali e motori mette non solo la muscolatura ma anche i corrispondenti nervi in una condizione di sovraffaticamento e ipereccitabilità, generando un circolo vizioso di sforzo, contrattura, ipereccitabilità e dolore a cui è difficile sfuggire.
  • Cause ancora sconosciute generano alterazioni degli ormoni e dei neurotrasmettitori, in particolare di quello della serotonina. Questo porta svariate conseguenze, tra cui fatalmente anche un aumento della sensibilità al dolore che a sua volta rinforza il circolo vizioso dolore-sforzo.
  • Quasi tutti i pazienti fibromialgici soffrono di disturbi del sistema digerente. Non è ancora chiaro se questa sia una delle cause o una conseguenza della malattia; di certo porta con sé ulteriori conseguenze, in quanto il sistema digerente è connesso con le altre funzioni del corpo da svariati processi. Fra l’altro, il tratto gastrointestinale è strettamente collegato con il sistema nervoso vegetativo, il sistema linfatico e quello circolatorio ed è sede della produzione della serotonina. I sintomi a carico del sistema digerente, solitamente, vengono accentuati da un comportamento alimentare sfavorevole: la persona molto sofferente deve a rinunciare a tante cose nella vita e cerca consolazione almeno nel bere e nel mangiare. Di solito, purtroppo, questo porta a mangiare più dolci e più cibi ipercalorici, i quali cronicizzano i problemi gastrointestinali. Questo genere di alimentazione, inoltre, apre la porta alle infezioni micotiche (funghi).
  • Alla malattia concorrono anche i disturbi circolatori che si instaurano in caso di infiammazioni estese, come quelle del tratto gastrointestinale.
  • Quasi tutti i pazienti lamentano ritenzione idrica ed edemi, che non dipendono da disfunzioni renali ma dal sistema linfatico. I tessuti edematosi possono anche comprimere alcuni nervi (ad esempio, quelli cranici), peggiorando le condizioni di dolore del paziente. Gli edemi, inoltre, danno una sensazione di malessere generale, specialmente alle donne. Personalmente ritengo che la loro causa risieda principalmente nei disturbi del tratto gastrointestinale in quanto strettamente connesso con il sistema linfatico.
  • Disturbi del sonno, probabilmente causati in tutto o in parte dalla riduzione del quadro della serotonina, peggiorano le condizioni generali e possono causare dolori muscolari che a loro volta rendono più difficile un sonno ristoratore. Questi fattori presi singolarmente non portano per forza a una fibromialgia: chiunque di noi, in vita sua, prova ogni tanto uno dei sintomi qui descritti. In condizioni favorevoli siamo in grado di padroneggiare molte situazioni difficili con le nostre forze, con l’aiuto della famiglia o degli amici; ma se le condizioni sono meno favorevoli, le nostre capacità di affrontare e superare i problemi si riducono. Situazioni della vita in cui la capacità di autoguarigione viene messa alla prova possono essere: carichi di lavoro eccessivi per anni, insoddisfazione in campo professionale, disoccupazione, situazione finanziaria difficile, insoddisfazione per la propria condizione di casalinga, conflitti col partner, separazioni, crisi di ridefinizione dei ruoli nella vita (per esempio, l’uscita di casa dei figli ormai adulti), problemi connessi con la menopausa, indebolimenti del sistema immunitario con frequenti infezioni e così via.
  • Le condizioni di spirito del paziente possono ridurre o aggravare la sintomatologia: quanto più una persona è gratificata o ottimista, tanto più è in condizioni di fare fronte ai momenti difficili. Per contro, scoraggiamento, disperazione, perdita di autonomia e di speranza peggiorano di molto il quadro della malattia, moltiplicandone gli effetti. Una persona abbattuta non prova più alcuno stimolo a muoversi con regolarità, si nutre in modo nocivo, tende ad evitare ogni attività fisica, percepisce più intensamente i dolori e così via. A quel punto, non serve a nulla stabilire se questa condizione psichica sia origine o conseguenza dell’insorgere della malattia: è indifferente che la persona fosse sempre triste già in passato o se la sua depressione sia cresciuta col passare degli anni. Ho visto molti casi di fibromialgia: gli effetti erano e sempre gli stessi, dunque ci si può risparmiare la domanda “prima l’uovo o la gallina?”.
  • Un particolare fattore di rischio è costituito dal rapporto medico-paziente, che influisce molto sulla cronicizzazione del quadro patologico. All’inizio della “carriera di paziente”, di solito, non ci sono grandi problemi, e i medici trattano i primi dolori lombari o muscolari con i procedimenti usuali. Dopo qualche tempo, però, si accorgono che il paziente è più difficile di quanto non si aspettassero e che i suoi sintomi non si riducono. In genere a questo punto gli fanno fare una serie di esami clinici, tutti senza risultato. Il medico si trova di fronte a un enigma: la quantità di dolori e l’abbattimento del paziente non trova alcun riscontro proporzionato nell’esame obiettivo. Il paziente viene mandato da colleghi specialisti, ancora senza risultato; il medico curante, quindi, comincia a formulare l’ipotesi che il paziente sia un fannullone che cerca di sfuggire in tutti i modi ai propri doveri, oppure che abbia un problema psichico. Il rapporto tra medico e paziente si deteriora notevolmente: il paziente sente chiaramente che il medico mette in dubbio i suoi dolori, e più si dà da fare a convincerlo che i suoi sintomi sono davvero importanti, più convince l’interlocutore che si tratti solo di una quantità di enormi esagerazioni. Il paziente è deluso e sempre più insicuro, cosa che rafforza ancora di più i suoi sintomi ed eventualmente ne fa comparire di nuovi. Il medico si sente sempre più impotente e alla fine anche irritato: per lui tutta quella congerie variegata di lamenti non ha alcun senso. Questo ingenera una escalation in parallelo: il paziente propone i suoi sintomi in modo sempre più pressante per convincere il medico che è realmente malato, il medico reagisce allontanandosi sempre di più. All’inizio lo considerava solo troppo ansioso, in seguito lo considera scomodo, infine ipocondriaco o mentalmente disturbato. Alla fine consiglia al paziente di rivolgersi a uno psichiatra. Il paziente ne è scosso, ulteriormente disorientato e comincia a dubitare di sé stesso: “Allora in realtà sono diventato matto?”. In questa condizione desolata si presenta alla visita psichiatrica, e in quello stato non è difficile conquistarsi una diagnosi di disturbo mentale. Il più delle volte si tratta di “depressione latente” o “mascherata”. I farmaci prescritti, però, non agiscono sui dolori, o lo fanno solo in piccolissima misura. Lo psichiatra si trova, allora, nell’esatta condizione del medico curante.
    Tutti restano delusi: innanzitutto e soprattutto il paziente, che ha perso fiducia in sé stesso e nella medicina; poi il medico curante che non può più fare niente per quel paziente “ingrato”; infine lo psichiatra, che si arrabbia con quel depresso irragionevole.
    Il capro espiatorio della situazione è il paziente che non si è voluto far aiutare e che, quindi, è il responsabile dei propri dolori.
  • Così si è raggiunta l’ultima fase della malattia: quando il paziente accoglie in sé l’idea di essere il colpevole del proprio stato perde anche l’ultimo rimasuglio di autostima. Non è più in grado di prendersi cura di sé: di notte si arrovella, dorme sempre peggio, è sempre più abbattuto e le sue condizioni generali peggiorano. Gli innumerevoli disturbi piccoli e grandi in apparenza privi di senso logorano la personalità che soccombe infine alla malattia, un inestricabile garbuglio di disturbi fisici e psichici: la fibromialgia.

CHE MALATTIA È LA FIBROMIALGIA ?

Siamo alla fine della nostra ricerca sull’insorgenza della fibromialgia. In sostanza, di che si tratta? Molte cose non sono ancora chiare, ma tuttavia ci sono basi sufficienti a prendere atto che si tratta di una malattia di tipo nuovo.

Siamo abituati al fatto che le malattie abbiano una causa riconoscibile: alcune possono essere provocate da un batterio o da un virus (come il mal di gola da streptococco), altre possono essere generate da diverse concause. Un infarto, per esempio, può essere conseguenza di tutta una serie di errori comportamentali che vanno dal fumo alla cattiva alimentazione fino allo stress. Tutte queste malattie, soprattutto, portano con sé un certo numero di alterazioni delle funzioni corporee chiaramente riconoscibili: infiammazioni, alterazioni dei vasi sanguigni, etc.

Nella fibromialgia accade tutt’altro: essa insorge in presenza di un gran numero di fattori di per sé relativamente innocui ed è solo in seguito alla loro combinazione, e soprattutto al fatale innesco di catene di causa-effetto, che si giunge a una condizione tanto stabilizzata da non consentire quasi alcuna via d’uscita. Il circolo vizioso che si instaura nell’intero sistema della persona risulta, alla fine, incredibilmente tenace.

La seconda particolarità della fibromialgia è che sotto il suo effetto non si verifica alcuna alterazione né della struttura né della funzione. La malattia consiste, di norma, in una riduzione di funzioni: abbiamo quindi a che fare con una delle cosiddette “malattie funzionali” (cosa che non ha niente a che vedere con l’aggettivo “psicogeno”). Ogni parte del corpo, in sé, rimane invariata, solo che le sue funzioni non si armonizzano più col tutto.

Per fare un paragone col mondo del computer: la medicina di solito si trova chiamata a risolvere problemi di hardware, mentre in questo caso ha a che fare con un problema di software. La realtà è ancora più complicata di quanto non si possa riprodurre in un modello schematico: le molte catene di causa-effetto non agiscono in successione, ma tutte allo stesso tempo. In altre parole: tutti gli elementi coinvolti sono collegati gli uni agli altri come in una gigantesca scultura aerea di quelle dette mobiles, e ogni elemento influenza l’altro, a volte in maniera molto indiretta e contorta. In questo modo si instaura un quadro patologico complesso che risulta così sconcertante e col quale è così difficile fare i conti.

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OSTEOARTROSI

Con il termine osteoartrosi o artrosi si definisce una patologia degenerativa, non infiammatoria, delle articolazioni, ad eziologia ignota, ad insorgenza mono/poli-articolare, di tipo progressivo, caratterizzata da alterazioni a carico della cartilagine articolare e dalla formazione reattiva di tessuto osseo a livello dei margini articolari.
Nonostante il carattere prevalentemente degenerativo, nei vari quadri di artrosi possono essere presenti segni più o meno intensi di infiammazione.

La malattia sembra avere origine da alterazioni della cartilagine che diventano più gravi man mano che la malattia progredisce, mentre le lesioni ossee sono in genere più modeste e vengono ritenute secondarie.
Le manifestazioni cliniche dell’artrosi sono caratterizzate da dolore, limitazioni funzionali, ingrossamento e deformazioni articolari.

CLASSIFICAZIONE

L’importante componente infiammatoria nell’evoluzione del processo artrosico ha indotto gli Autori anglosassoni a preferire il termine di osteoartrite a quello tradizionale di osteoartrosi o di artrosi.

Gli Autori italiani preferiscono, invece, continuare ad usare il termine osteoartrosi o artrosi per evitare confusioni con l’artrite reumatoide o con altre forme di artrite.

La classificazione più comunemente usata distinge un’artrosi primaria, legata ad un’alterazione metabolica primitiva della cartilagine articolare, e un’artrosi secondaria, in cui un evento o una malattia nota sono correlati con la patologia.

Artrosi primaria

Può essere localizzata o generalizzata e viene ulteriormente suddivisa in base alla localizzazione anatomica.
La malattia può colpire qualsiasi articolazione: ginocchia, spalle, anche, piccole articolazioni delle mani, i tratti cervicale e lombare della colonna vertebrale e i dischi intervertebrali.

Artrosi secondaria

Viene suddivisa in base ai fattori eziologici o alle malattie associate.
Vi sono molte condizioni genetiche, traumatiche, metaboliche, endocrine e infettive che possono portare a quadri di artrosi secondaria.

Vengono interessate diverse sedi articolari in rapporto a fattori causali differenti (ginocchio varo, sublussazione congenita dell’anca, etc.).

Un caso particolare è costituito della discoartrosi, denominata anche artrosi del rachide.

Una classificazione così semplice e schematica può tuttavia non essere del tutto corretta, poiché esistono potenzialmente delle correlazioni e delle interferenze dell’artrosi secondaria nell’ambito delle cosiddette forme primarie.

EPIDEMIOLOGIA

In Italia le malattie reumatiche colpiscono cinque milioni e mezzo di abitanti, cioè un decimo della popolazione. L’artrosi è di gran lunga l’affezione più frequente fra i pazienti reumatici e va progressivamente aumentando di frequenza con l’età.

Frequenza della localizzazione artrosica:

  • colonna lombare 33%
  • colonna cervicale 30%
  • ginocchio 27%
  • anca 25%
  • colonna cervicale in toto 24%
  • più articolazioni 13,9%
  • mani 11%
  • altre sedi 10%
  • piedi 9%
  • colonna dorsale 0,9%

Sembra accertato che, in rapporto all’età, alcune articolazioni siano colpite con particolare frequenza. Precocemente interessata (sotto i 30 anni) è la colonna vertebrale; dopo i 30 anni l’articolazione del ginocchio; dopo i 40 le articolazioni della mano, anca e piede.

In rapporto all’età anche il numero di articolazioni colpite è diverso e generalmente va aumentando con il trascorrere degli anni.

L’artrosi colpisce più frequentemente le donne che gli uomini.

Tale frequenza è più evidente dopo i 55 anni quando si riscontra il maggior numero di casi di artrosi mentre prima, e soprattutto fino ai 45 anni, l’artrosi colpisce più frequentemente gli uomini. Tra i 45 ed i 55 anni la frequenza è pressoché uguale nei due sessi.

La precocità di insorgenza negli uomini può essere ricondotta all’attività lavorativa; nelle donne il più frequente riscontro dopo i 55 anni può invece dipendere da alterazioni del metabolismo osseo riconducibile a modificazioni ormonali

CAUSE E FATTORI DI RISCHIO

Questa malattia insorge quando una sola causa, purché di importanza adeguata, oppure diverse cause associandosi fra loro mettono in moto una lenta, progressiva e irreversibile alterazione delle strutture portanti dell’articolazione, in particolare cartilagine e osso subcondrale.

L’origine della malattia è da attribuirsi a diversi fattori:

  • Età: la cartilagine che riveste le articolazioni tende a consumarsi con il passare degli anni
  • Malformazioni congenite o acquisite: fanno compiere movimenti non corretti alle articolazioni
  • Eccessivo carico: le articolazioni vengono sottoposte ad un onere abnorme a causa del lavoro svolto o di un’attività sportiva troppo intensa
  • Sovrappeso e obesità: i chili in eccesso causano un carico sulle articolazioni che può “rovinare” la cartilagine
  • Ereditarietà: chi ha precedenti familiari corre maggiori rischi per una possibile predisposizione
  • Presenza di altre malattie reumatiche (es. artrite)

QUADRO CLINICO

Aspetti generali

Il quadro clinico dell’artrosi si caratterizza per il suo polimorfismo.

Dolore, limitazione funzionale e rigidità mattutina sono le manifestazioni cliniche più caratteristiche.

La comparsa di episodi di flogosi acuta può costituire la conseguenza di microtraumi, sovraccarico funzionale, e/o di una concomitante patologia da microcristalli (gotta, condrocalcinosi, malattia da microcristalli di idrossiapatite).

Dolore

L’artrosi affiora all’evidenza clinica quando compare il dolore che induce il paziente a rivolgersi al medico. In linea generale, a differenza di quanto si osserva nell’artrite reumatoide, il dolore e la limitazione funzionale tendono ad attenuarsi con il riposo e, quindi, durante la notte. Nelle articolazioni portanti, la sintomatologia dolorosa è generalmente diurna con esacerbazione pomeridiana-serale.

Limitazione funzionale

Nelle fasi iniziali della malattia, la limitazione funzionale è strettamente legata al dolore, che il paziente vuole risparmiarsi. La limitazione funzionale e il conseguente vario grado di disabilità assumono particolare rilievo quando vengono colpite le articolazioni “portanti” (anca e ginocchio). L’artrosi del pollice può compromettere la funzione prensile della mano con conseguenze negative per il compimento di particolari gestualità lavorative.

Rigidità articolare

La rigidità mattutina è generalmente di breve durata (di solito inferiore al quarto d’ora). La sensazione di cedimento e/o d’insicurezza all’inizio del movimento, dopo un periodo più o meno prolungato di riposo, è una caratteristica espressione dell’artrosi a livello delle articolazioni portanti.

DIAGNOSI

Molti tendono a dedicare scarsa attenzione alla diagnosi precoce dell’artrosi e all’individuazione delle condizioni pre-artrosiche. L’artrosi, cioè, continua a venir considerata espressione quasi scontata della vecchiaia. Tale diffuso atteggiamento oggi va rivisto, poiché è possibile individuare espressioni precoci del processo artrosico, e poiché si stanno sviluppando programmi di prevenzione e di terapia razionale che rimarrebbero senza vantaggio se si persistesse nell’attitudine ad accettare l’artrosi come “acciacco inevitabile dell’età”. La diagnosi di artrosi si fonda sulla combinata presenza di segni clinici e radiologici della malattia.

INDAGINI DI LABORATORIO E STRUMENTALI

Nell’artrosi non sono state finora rilevate anomalie dei dati di laboratorio, utili ai fini diagnostici e per il monitoraggio della malattia.

La radiologia tradizionale mantiene un indiscusso valore nella diagnosi e nella stadiazione dell’artrosi.
Le principali espressioni del processo artrosico sono gli osteofiti, l’osteosclerosi subcondrale, il restringimento dell’interlinea articolare, i geodi.

L’ecografia articolare si va rivelando metodica capace di fornire utili informazioni ai fini della diagnosi precoce e nel monitoraggio dell’evoluzione dell’artrosi.

L’impiego di sonde ad alta frequenza consente un’attendibile esplorazione della cartilagine articolare. Il limite principale della metodica consiste nel fatto che l’esplorazione non riguarda l’intera superficie cartilaginea.

L’artroscopia, in determinate situazioni, può fornire un utile contributo alla diagnosi di artrosi, anche se non costituisce una metodica di primo impiego.

DECORSO E PROGNOSI

Un luogo comune, rivelatosi non fondato, è quello relativo al carattere costantemente irreversibile delle lesioni artrosi che; il decorso dell’artrosi è lento e non prevedibile per quanto concerne l’entità della compromissione funzionale.
La rapidità di progressione del processo artrosico presenta un’ampia variabilità inter-individuale.

I quattro indici più spesso considerati per valutare il miglioramento della patologia sono: il dolore, la valutazione globale del paziente circa il proprio stato di malattia, il range di movimento delle articolazioni colpite e la valutazione globale del medico circa lo stato di malattia.

Seguono nell’ordine: la rigidità articolare, l’influenza della malattia sul sonno, il tempo di percorrenza di distanze prefissate, l’interferenza della malattia con le normali attività quotidiane, la dolorabilità articolare, il consumo di antalgici, la tumefazione articolare.

ARTROSI E LAVORO

Esistono attività lavorative che costituiscono un valido esempio di quanto l’iterazione degli stessi gesti, una postura viziata, il sovraccarico funzionale possano, con il passare del tempo, produrre danni osteo-articolari definitivi.

Possono citarsi, ad esempio, la cifosi dei facchini, la coxartrosi delle mondine, la scoliosi dei violinisti, il dorso curvo dei dentisti, la lombartrosi dei lavoratori agricoli, etc.

A rischio maggiore di coxartrosi risultano inoltre i lavoratori edili e i vigili del fuoco.

Sedi predilette dell’artrosi da utensili vibranti (martelli pneumatici, perforatrici pneumatiche, trapani, etc.) sono il gomito, la mano, il polso e, in misura minore, la spalla.

La pratica di un’attività sportiva rappresenta un potenziale fattore di rischio artrosico in tutti quei casi in cui si realizza un sovraccarico funzionale intenso e prolungato dell’articolazione.

PREVENZIONE

Alcuni semplici accorgimenti possono risultare importanti nel limitare l’evoluzione del danno articolare e nel ridurre la sintomatologia in corso di artrosi.

Tali misure debbono essere valutate per ogni singolo caso in rapporto alle condizioni generali del paziente, alla localizzazione e gravità della malattia.

Riduzione del sovrappeso corporeo

L’obesità rappresenta un fattore predisponente ed aggravante di molte forme di artrosi in virtù del sovraccarico funzionale che impone alle articolazioni portanti.

Una graduale riduzione del peso corporeo in rapporto all’età, alle condizioni generali del soggetto e alle eventuali patologie associate, è indispensabile per non vanificare gli effetti di altre terapie.

Correzione di eventuali alterazioni metaboliche

È opportuno accertare l’eventuale presenza in ogni paziente artrosico di diabete mellito, di alterazioni del metabolismo lipidico e di iperuricemia, provvedendo poi attraverso il trattamento dietetico e/o farmacologico alla loro correzione.

Adozione di posture idonee diurne e notturne

Una corretta posizione del corpo durante il sonno si ottiene dormendo su di un materasso o su di un letto rigido ed utilizzando un guanciale basso.

Durante il riposo è consigliabile la posizione supina o laterale, mentre deve essere evitata la posizione prona che tende ad accentuare la lordosi lombare e obbliga alla rotazione forzata persistente del collo.

La mattina, per infilarsi le calze, ricordarsi di stare seduti, mantenendo la schiena ben dritta.

Una corretta posizione seduta si ottiene se si usa una sedia rigida in modo che la colonna vertebrale aderisca completamente allo schienale (posizione a 90°). Devono essere inoltre evitati i sedili troppo bassi.

Alla guida dell’automobile è bene sedersi il più possibile vicini al volante in modo da tenere gli arti inferiori flessi. Il collo e il dorso vanno appoggiati allo schienale evitando di piegarsi in avanti.

Quando cade un oggetto a terra o si deve sollevare un peso dal suolo è opportuno flettere leggermente le ginocchia e non la colonna.

È buona regola evitare la posizione eretta prolungata mentre è raccomandabile cambiare spesso posizione sia durante le ore lavorative che nei momenti di riposo.

In ufficio, considerato il tempo che si trascorre lavorando, l’ideale sarebbe una sedia ergonomica e un poggiapiedi.
Davanti allo schermo del computer il collo non va incassato tra le spalle, né tenuto proteso in avanti come normalmente si tende a fare.

Nell’artrosi delle mani ogni attività che comporti rischi di microtraumi, insulti termici o contatto con acqua dovrebbe essere svolta utilizzando guanti di cotone, protetti da guanti di gomma lunghi.

Nel caso di localizzazioni a livello del piede dovrebbe essere evitato l’uso di calzature a punta e con tacchi alti.
Non tutti gli sport fanno bene soprattutto alla schiena. L’unico veramente indicato per la prevenzione e la cura delle patologie legate alla colonna vertebrale è il nuoto.

L’esercizio fisico è consigliato per tutte le forme di artrosi perché mantiene movimenti ampi delle articolazioni, contrasta le deformazioni favorite dalle cattive posizioni e rinforza i muscoli vicini alle articolazioni. Ottimi sono anche lo stretching e lo yoga.

I microtraumatismi cronici, che si susseguono durante le normali attività quotidiane, svolgono un ruolo importante nell’insorgenza e nell’evoluzione delle lesioni degenerative e nelle manifestazioni cliniche dell’artrosi.

Un’adeguata protezione delle articolazioni maggiormente esposte si può ottenere tramite alcuni provvedimenti ortesici:

  • Ortesi
  • Collari
  • Busti, corsetti semirigidi, corsetti gessati
  • Apparecchi gessati, docce, etc.
  • Bastoni semplici, stampelle
  • Girelli
  • Tutori
  • Apparecchi per trazione

Le ortesi possono essere prescritte solo dopo un’attenta valutazione clinica con definizione dello stadio della malattia; devono essere concepite e modellate in funzione di ciascun paziente dopo indagine accurata sulla disponibilità psicologica del malato ad accettare questo tipo di presidio terapeutico.

TERAPIA

Terapia fisica

Può rappresentare un utile ausilio purché sia inserita in un razionale programma terapeutico e non venga ritenuta un’alternativa alla terapia farmacologica.

Terapia farmacologica

Non esiste una cura definitiva per l’osteoatrosi. Tuttavia, esistono diversi trattamenti in grado di migliorare la qualità della vita del malato.

I farmaci attualmente disponibili sono in grado di:

  • alleviare il dolore
  • mantenere e/o facilitare il movimento delle articolazioni
  • rallentare la progressione dei danni

Le vie di somministrazione possono essere diverse in rapporto alle caratteristiche del farmaco e del paziente:

  • per bocca
  • attraverso iniezioni intramuscolari, endovenose e sottocutanee
  • con infiltrazioni nelle articolazioni colpite
  • con cerotti, gel, pomate da applicare sulla parte dolorante

Antinfiammatori non-steroidei (FANS)

I FANS rappresentano uno strumento indispensabile nel trattamento sintomatico dell’artrosi.

Oltre all’attività antinfiammatoria esplicano una più o meno spiccata azione analgesica e antipiretica.

L’effetto analgesico è il primo a comparire, ma scompare altrettanto rapidamente alla cessazione della somministrazione. L’azione antipiretica è costante ma variabile da un composto all’altro. Tutti i FANS vanno impiegati con la massima cautela nei pazienti con una storia di ulcera peptica e in genere non andrebbero prescritti nei soggetti portatori di ulcera attiva.

Particolare attenzione va attribuita alle interazioni farmacologiche dei FANS con altre classi di farmaci.

La prescrizione di un FANS richiede particolare prudenza nei pazienti in terapia con antidiabetici o con anticoagulanti per via orale e negli anziani spesso affetti da altre patologie a carattere cronico, e perciò costretti ad assumere vari farmaci indispensabili per la vita.

Attualmente vengono utilizzati anche i “COXIBs”, che sono FANS a tutti gli effetti ma hanno la capacità di attenuare il dolore senza causare disturbi allo stomaco e ai reni.

I nuovi farmaci (celecoxib e rofecoxib), infatti, agiscono bloccando uno specifico enzima che provoca la liberazione di sostanze responsabili dell’infiammazione e del dolore, la ciclossigenasi 2 (Cox 2). In tal modo, bloccano o riducono l’infiammazione e il dolore. Al contrario dei comuni FANS che non riescono a distinguere tra i diversi enzimi, non bloccano invece la ciclossigenasi 1 (Cox 1), una sostanza simile alla Cox 2 ma che, oltre a stimolare la produzione delle sostanze responsabili del dolore, agisce favorendo la liberazione di altre sostanze che proteggono lo stomaco.

Analgesici

Nella terapia sintomatica dell’artrosi vengono normalmente utilizzati gli analgesici minori, farmaci molto diversi fra loro per struttura chimica, meccanismo d’azione ed effetti terapeutici.

Terapia intra-articolare

Questo tipo di terapia, effettuata con iniezioni nell’articolazione interessata, ha lo scopo di ottenere un potenziamento in loco dell’azione farmacologica, attraverso l’aumento della concentrazione del farmaco nella zona colpita e di conseguenza diminuire gli effetti generali indesiderati.

Le articolazioni “facili” da infiltrare sono rappresentate dal ginocchio, dalla spalla e dalle articolazioni delle dita. Una maggiore difficoltà presentano il polso, la caviglia e il gomito, mentre ancora più difficili risultano le articolazioni del piede e soprattutto le coxo-femorali.

Tra i farmaci utilizzati per via intra-articolare nel trattamento dell’artrosi, ricordiamo i corticosteroidi (cortisonici), gli anestetici, alcuni FANS e l’acido ialuronico.

Glucosamina solfato

La glucosamina solfato viene impiegata da molti anni come terapia di fondo dell’artrosi; è un antiartrosico ad azione lenta in grado di rallentare anche il processo di degradazione della cartilagine.

La glucosamina solfato può essere utile soprattutto quando:

  • l’artrosi è nelle fasi iniziali o moderate
  • i danni della cartilagine non sono ancora molto estesi

Questo farmaco è ben tollerato e non sono stati evidenziati effetti indesiderati su cuore, circolazione e sistema nervoso.

Terapia chirurgica

La chirurgia viene di solito utilizzata nelle forme più serie di artrosi, quando il dolore e la difficoltà di movimento sono molto accentuati.

Gli interventi prevedono la sostituzione dei due capi ossei (due estremità delle ossa che incontrandosi e incastrandosi l’uno sull’altro formano l’articolazione) malati con protesi che si articolano tra loro e permettono di muoversi.

L’intervento più diffuso è quello all’anca, in cui una protesi sostituisce la testa del femore o l’acetabolo, cioè la cavità dell’anca in cui appoggia il femore.

L’unico problema è quello della durata della protesi, che è di circa 10-20 anni.

Per questo, di solito, è consigliabile operare pazienti oltre i 60 anni di età.

Anche la protesi del ginocchio, che sostituisce le porzioni articolari della tibia e del femore, si sta sempre più diffondendo. La durata della protesi è paragonabile a quella dell’anca.

Nei casi più seri di artrosi della spalla, si può impiantare una protesi che garantisce una buona mobilità.

Meno diffusa, invece, è la protesi della caviglia che è riservata alle situazioni gravi.

Le principali controindicazioni per il trattamento chirurgico comprendono condizioni generali non soddisfacenti, affezioni vascolari periferiche, neuropatie, affezioni neuromuscolari e processi infettivi in atto.

Dopo trattamento chirurgico, è indispensabile per il paziente seguire un programma di riabilitazione post-operatoria, i cui obiettivi sono di ottenere da un lato la massima escursione articolare con un buon controllo muscolare e dall’altro un rapido ritorno alle comuni attività della vita quotidiana.

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Dott. Alberto Floris e Prof. Alberto Cauli

Unità Operativa Complessa di Reumatologia, Policlinico di Monserrato, AOU e Università degli Studi di Cagliari.

CONTENUTI:

DEFINIZIONE

L’artrite psoriasica (AP) è una malattia infiammatoria cronica delle articolazioni che comunemente insorge in soggetti affetti da psoriasi o con un familiare di primo grado affetto da tale patologia della pelle.

EPIDEMIOLOGIA

La psoriasi interessa circa il 3% della popolazione generale, anche se le stime della sua frequenza variano in base all’aree geografica e ai gruppi etnici studiati. L’AP è presente in circa un terzo dei pazienti affetti da psoriasi cutanea ed ha una prevalenza dello 0,3 – 1% nella popolazione generale.

Nella maggior parte dei casi la patologia cutanea precede quella articolare; raramente le due componenti possono esordire insieme o l’artrite precede la psoriasi. L’AP interessa in egual misura il sesso maschile e quello femminile ed ha il suo picco di incidenza nei soggetti tra i 30 e 50 anni di età.

CAUSE

L’AP è una malattia di origine multifattoriale, determinata dall’incontro tra una predisposizione genetica e l’esposizione a fattori scatenanti di tipo ambientale.

L’AP è comunemente definita come una malattia immuno-mediata, cioè una patologia caratterizzata da una alterazione di alcune componenti del sistema immunitario, che indirizzano la loro attività verso strutture normali dell’organismo, come articolazioni e pelle, anziché verso agenti patogeni come virus, batteri o cellule tumorali.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

L’AP è caratterizzata da una elevata variabilità clinica. Le principali manifestazioni del coinvolgimento articolare sono l’artrite periferica, la dattilite, l’entesite e la spondilite.

L’artrite periferica consiste nell’infiammazione delle articolazioni degli arti (es. piccole articolazioni delle mani e dei piedi, polsi, gomiti, ginocchia etc.). L’infiammazione può interessare una sola articolazione (mono-artrite); ma è più frequente il riscontro dell’interessamento contemporaneo di più articolazioni. Convenzionalmente si parla di forma oligo-articolare o poli-articolare, quando vi è l’interessamento rispettivamente di più o meno di 5 articolazioni. L’artrite si manifesta tipicamente con dolore, gonfione e limitazione funzionale a livello del distretto interessato, ma talvolata è anche apprezzabile la presenza di rossore e calore.

La dattilite rappresenta la manifestazione più tipica, anche se non la più frequente, della AP. Essa consiste in una tumefazione diffusa del dito, spesso descritto come “dito a salsicciotto”, determinata dall’infiammazione dei tendini e delle rispettive guaine dei muscoli flessori delle dita, associata o meno ad artrite delle articolazioni interfalangee prossimali e distali.

L’entesite consiste nell’infiammazione dei tendini e legamenti a livello della loro inserzione nell’osso. Nei soggetti con AP sono frequenti le entesiti, in particolare a livello del tendine di Achille, della fascia plantare o delle inserzioni muscolo-tendinee pelviche.

La spondilite e sacroileite, rappresentano rispettivamente l’interessamento infiammatorio della colonna vertebrale e dell’articolazione tra il sacro e il bacino (articolazione sacroiliaca). In caso di tale tipo di coinvolgimento il paziente potrà riferire un dolore lombare subdolo, più intenso la notte o al risveglio, che migliora con il movimento e discretamente responsivo agli antinfiammatori.

Nei soggetti affetti da AP può, inoltre verificarsi l’infiammazione della tonaca media dell’occhio (uveite), caratterizzata da dolore, fotosensibilità e alterazione della vista.

DIAGNOSI

Non esiste un test di laboratorio o un esame strumentale in grado di identificare da solo la presenza della AP. La diagnosi di questa complessa ed eterogenea malattia si basa, infatti, sulla valutazione complessiva del paziente da parte del medico, più appropriatamente un Reumatologo, che in un complesso processo di sintesi analizza l’associazione tra segni e sintomi compatibili con la malattia, la presenza di storia personale o familiare di psoriasi, l’esito di specifici esami di laboratorio e radiologici. Fase estremamente importante nella diagnosi di AP è rappresentata dall’esclusione di altre patologhe che possono avere delle modalità di presentazione simile, quali artrite reumatoide, osteoartrosi o la gotta.

Tra gli esami di laboratorio utili nella valutazione del sospetto di AP vi sono gli indici di infiammazione, che tuttavia risultano postivi solo in circa il 50% dei casi. Il fattore reumatoide, e più di recente gli anticorpi anti-CCP, sono tipicamente negativi nell’AP e la loro valutazione viene effettuata in supporto alla differenziazione con l’artrite reumatoide. Nell’AP non vi sono, a differenza di altre malattie immuno-mediate, degli auto-anticorpi caratteristici per la AP.

Altri esami utili nella valutazione del paziente affetto da AP, non tanto nella diagnosi quanto nella valutazione di possibili comorbilità sono l’uricemia, la glicemia e l’assetto lipidico.

Le indagini radiologiche possono essere utili per l’identificazione ed il monitoraggio di alcune alterazioni strutturali dell’articolazione, quali erosioni e neoapposizione ossea.

TERAPIA

Gli obiettivi del trattamento dell’AP sono il raggiungimento della remissione clinica, l’inibizione dello sviluppo del danno strutturale articolare ed il miglioramento della qualità di vita.

L’approccio al trattamento del paziente affetto da AP deve essere di tipo multidisciplinare, basata sul coinvolgimento del reumatologo per la componete articolare, del dermatologo per quella cutanea, di altri specialisti, quali oculista o gastroenterologo in caso di coinvolgimento di altri organi e apparati.

Dal punto di vista farmacologico trovano frequente utilizzo nella terapia dell’AP gli antinfiammatori non steroidei e talvolta, soprattutto in caso del coinvolgimento di una singola articolazione, l’infiltrazione con glucocorticoidi. Tuttavia, ad eccezione che per forme estremamente lievi, si rende necessario l’utilizzo di farmaci cosiddetti di fondo che hanno l’obiettivo di indurre e mantenere nel tempo la remissione dell’attività di malattia. Tra questi, quelli utilizzati generalmente in prima linea, soprattutto in presenza di artrite periferica, vi sono i farmaci antireumatici di sintesi, quali il metotressato, la sulfsalazina e la leflunomide. In presenza di una componente articolare particolarmente attiva ed in caso di inefficacia dei farmaci antireumatici di sintesi, è possibile ricorre all’utilizzo dei più recenti famarci biologici (es. inibitori del TNF, IL-17, IL23, o IL-12/23) o farmaci sintetici mirati (anti-PDE4 e anti-JAK), caratterizzati dalla capacità di inibire in maniera estremamente selettiva alcuni specifici elementi coinvolti nell’infiammazione. Per tutti questi farmaci è richiesta una attenta valutazione prima dell’inizio del trattamento per valutare l’eventuale presenza di controindicazioni assolute o relative (es. elevato rischio infettivo o riattivazione di infezioni latenti, recenti neoplasie) e successivamente per il monitoraggio della tollerabilità.

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Artrite reumatoide giovanile https://www.reumaonline.it/artrite-reumatoide-giovanile/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=artrite-reumatoide-giovanile https://www.reumaonline.it/artrite-reumatoide-giovanile/#respond Wed, 11 Nov 2009 13:51:11 +0000 http://www.reumaonline.it/2009/11/11/artrite-reumatoide-giovanile/

CONOSCERE L’ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE

L’artrite in un bambino? Ma non è una malattia dei vecchi?

Spesso la gente comune, ma anche molti medici non specialisti, fanno fatica a credere che il problema esista anche per i bambini e gli adolescenti, e così molti soffrono per mesi, o addirittura anni, prima che venga fatta l’esatta diagnosi e prescritta una cura efficace.

Molti bambini e ragazzi, soprattutto quelli nei quali la malattia inizia nel modo più subdolo, senza segni conclamati, ma solo, ad esempio, con un po’ di rigidità mattutina, mentre gli esami del sangue rimangono normali, vengono addirittura sospettati di avere problemi psicologici. Ma anche quando tutto va bene, e la diagnosi e la terapia sono fatte nel modo corretto, il bambino o l’adolescente spesso trovano delle difficoltà con gli insegnanti e i compagni, i quali stentano a credere che essi possano avere l’artrite e inoltre non hanno idea di quale sia la natura di questa malattia e dei problemi che può creare. Infine, spesso i medici non specialisti oltre che la gente comune pensano che non ci sia niente da fare e che il destino di questi bambini sia quello di avere grandi invalidità. Non c’è nulla di più sbagliato! Questo testo si rivolge ai genitori, ma anche ai giovani malati, ai loro insegnanti e ai compagni, per fornire le informazioni necessarie a far sì che tutti questi errori, ritardi, incomprensioni e inutili sofferenze vengano evitati. Il suo scopo è quello di aiutarvi a conoscere l’artrite e ad affrontarla con determinazione e consapevolezza. L’artrite giovanile può iniziare subdolamente, con un dito o un ginocchio gonfio, una febbre o un’eruzione cutanea (un esantema) apparentemente inspiegabili. Questa diagnosi, quando verrà fatta, vi troverà impreparati e confusi. Cercheremo perciò di rispondere alle vostre domande fornendovi delle spiegazioni dettagliate e il più scientifiche possibile, espresse però in termini semplici e comprensibili anche ai “non addetti ai lavori”.

CHE COS’È L’ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE?

“Artrite” significa infiammazione delle articolazioni (cioè delle giunture) e definisce un gruppo di malattie che possono causare dolore, gonfiore/tumefazione, rigidità e riduzione della capacità di movimento delle articolazioni. “Artrite” è un termine generico che indica numerose malattie delle articolazioni di natura infiammatoria che possono avere cause infettive (infezioni batteriche o virali) o reumatiche.

L’artrite colpisce anche i bambini e gli adolescenti. Fortunatamente, in molti casi si tratta di forme lievi e solo in alcuni casi non tende a scomparire da sola ma può ripresentarsi periodicamente o diventare cronica. In molti casi si tratta, infatti, di un’artrite reattiva, cioè di un’artrite che segue un’infezione virale o batterica, si esaurisce nel giro di poche settimane o mesi e non torna più. In altri casi, invece, si tratta di una forma che chiamiamo AIG – artrite idiopatica giovanile (idiopatica vuol dire senza una causa nota), che si ripresenta periodicamente o che diventa cronica e dura per mesi e anni o, più raramente, per tutta la vita. L’AIG colpisce circa un bambino ogni 1000 e si calcola che in Italia circa 10.000 bambini e adolescenti possano esserne affetti. L’AIG veniva chiamata in passato artrite cronica o artrite reumatoide giovanile (ARG)1. Esordisce prima dei 16 anni di età e può colpire qualsiasi articolazione in numero variabile da una a moltissime. Le articolazioni colpite solitamente presentano dolore, tumefazione e rigidità, anche se, in molti casi, il bambino non accusa dolore, ma presenta soltanto tumefazione e rigidità o limitazione del movimento articolare.

All’esordio dell’artrite non siamo in grado né di predire con sicurezza quale sarà il suo andamento, né di prevenire le sue possibili ricadute, che spesso avvengono dopo una malattia banale, come un’influenza, o senza causa apparente. Tutte le forme di AIG si possono curare, nel senso che si possono prevenire le conseguenze più gravi che la malattia potrebbe avere, se lasciata al suo decorso naturale. Per far ciò è essenziale che la diagnosi sia fatta il più presto possibile e che il più presto possibile siano iniziate le cure adatte.

QUAL È LA CAUSA DELL’AIG?

L’AIG viene definita una malattia autoimmune o autoaggressiva, il che significa che l’organismo di chi ne è colpito non è in grado di riconoscere come proprie alcune strutture (componenti di cellule e tessuti) appartenenti al suo corpo, le scambia per estranee e le “aggredisce”, come fa normalmente per difendersi dalle aggressioni esterne (per esempio per uccidere virus e batteri). Il risultato è che, là dove avviene questa autoaggressione, il tessuto (nel nostro caso la membrana sinoviale, che riveste internamente le articolazioni) si infiamma, cioè vi affluisce più sangue, le cellule e i liquidi dal sangue passano nei tessuti e la parte si gonfia, diventa più calda e dolente e, talvolta, si arrossa. Persistendo l’infiammazione la membrana sinoviale si ispessisce, cresce/prolifera e aggredisce la cartilagine che riveste i capi ossei all’interno dell’articolazione e tutte le altre strutture presenti, come legamenti e menischi. Questo processo anomalo di autoimmunità si pensa che sia dovuto a due cause: una particolare predisposizione genetica del bambino e una causa esterna scatenante, aspecifica, come un’infezione virale o microbica. Per studiare il profilo genetico del vostro bambino il medico potrà chiedere un particolare esame del sangue che si chiama tipizzazione HLA-A-B-DR. Tuttavia, non tutti i bambini che si ammalano di AIG hanno le stesse caratteristiche genetiche predisponenti e, viceversa, non tutti quelli che hanno un profilo genetico che evidenzia la predisposizione svilupperanno l’AIG. L’AIG non è ereditaria né contagiosa. La possibilità che chi abbia avuto l’AIG la trasmetta ai suoi figli è estremamente rara, così come è estremamente raro che possano avere l’AIG due fratelli. Nessuna malattia dei genitori, nessun evento o malattia o abitudine alimentare durante la gravidanza, può causare o favorire l’insorgenza dell’AIG nel bambino. Non c’è nessuna prova certa che l’AIG possa essere favorita o migliorata da qualche particolare dieta del bambino né che la sua insorgenza possa essere favorita dal clima (freddo e umido), anche se solitamente il caldo secco attenua i sintomi dell’artrite (dolore e rigidità) e, viceversa, il freddo-umido li accentua.

QUALI SONO I SINTOMI E I SEGNI DELL’AIG?

Il sintomo comune a tutte le forme di AIG è un persistente gonfiore/tumefazione di una o più articolazioni, dovuto alla presenza di un versamento articolare, cioè di liquido sinoviale infiammatorio all’interno dell’articolazione. In qualche caso l’articolazione può essere infiammata anche se il versamento è minimo o assente (infiammazione “secca”). Gli altri sintomi di infiammazione sono il dolore articolare e la rigidità, che sono presenti al mattino al risveglio e poi si attenuano fino, in qualche caso, a scomparire del tutto con il movimento che scioglie le articolazioni. Il bambino zoppica e si lamenta soprattutto al risveglio, poi muovendosi, pian piano, migliora e durante il resto della giornata, può stare del tutto bene, il che fa, talvolta, pensare che si tratti di un qualche disagio psicologico o di poca voglia di andare a scuola. Alcuni bambini non si lamentano assolutamente per il dolore, l’articolazione può presentare un versamento e non essere dolente e anche il movimento può essere completo (è il caso delle forme oligoarticolari più lievi). In qualche caso, invece, il bambino non si lamenta perché assume delle posizioni cosiddette “antalgiche” cioè mantiene l’arto rigido, in una posizione scorretta/viziata, in quanto questa posizione è quella che gli consente di non sentire dolore (per esempio mantiene il ginocchio piegato sia a riposo che quando cammina). Talvolta le articolazioni infiammate sono anche più calde del resto del corpo, eccezionalmente sono arrossate. Solitamente l’artrite ha un andamento alternante (recidivante) con periodi in cui i sintomi si attenuano, o spariscono, e altri in cui si riacutizzano. La riacutizzazione, spesso, avviene dopo una malattia infettiva (influenza, tonsillite, varicella o altro) o senza cause apparenti. Alcuni bambini possono presentare solo uno o pochi episodi di riacutizzazione, in altri, invece, l’artrite ha un’evoluzione cronica e può persistere attiva anche in età adulta.

LE DIFFERENTI FORME DI AIG

Sulla base del numero di articolazioni colpite all’esordio della malattia (cioè durante i primi sei mesi) e sulla base della presenza, o meno, di febbre e di altre caratteristiche presenti negli esami del sangue, si distinguono i seguenti cinque tipi di AIG.

  • Oligoartrite
    L’AIG si dice oligoarticolare quando colpisce al massimo quattro articolazioni. Questa è la forma più comune e meno grave (più del 50% dei bambini con AIG ha questa forma). L’AIG oligoarticolare all’inizio colpisce più spesso il ginocchio e, solitamente, i bambini con questa forma sono femmine in tenera età (bambine che frequentano la scuola materna o elementare), ma talvolta la malattia inizia anche prima, già nel secondo semestre di vita. L’AIG oligoarticolare solitamente ha un andamento recidivante e, nei successivi episodi, può colpire la stessa o altre articolazioni. In qualche caso l’AIG oligoarticolare può colpire, nel suo decorso successivo, più di quattro articolazioni e allora si parla di oligoartrite estesa.
    Nella maggior parte dei casi di AIG oligoarticolare sono presenti nel sangue dei particolari auto-anticorpi, denominati anticorpi anti-nucleari (ANA), cioè anticorpi diretti contro strutture presenti nel nucleo delle cellule del proprio organismo, che sono di aiuto per fare la diagnosi.
    L’artrite oligoarticolare, solitamente, risponde bene alle cure adeguate. La prima cura, se sono interessate solo una o due articolazioni, è la terapia locale: l’articolazione, solitamente il ginocchio, va svuotata dal liquido sinoviale infiammatorio (il versamento articolare) attraverso una semplice puntura (artrocentesi), che viene fatta dopo aver applicato una pomata anestetica, e quindi viene iniettato (infiltrazione) un preparato a base di cortisone2, cosiddetto ritardo o deposito in quanto non passa, o passa solo minimamente, in circolo e si deposita nell’articolazione infiammata. Solitamente poi si applica un bendaggio elastico o un’emiginocchiera per tenere, per qualche giorno, l’articolazione infiltrata a riposo. La terapia steroidea infiltrativa di solito risolve del tutto e rapidamente l’infiammazione: già dopo pochi giorni (5-7) l’articolazione risulta “asciutta”, cioè priva di liquido sinoviale infiammatorio, e con questo si risolve anche il dolore e il bambino può riprendere a muovere normalmente l’arto. Se, tuttavia, l’infiammazione fosse durata troppo a lungo prima di venire curata con l’infiltrazione, è possibile che l’articolazione risulti rigida e, in questo caso, sarà necessario recuperare tutta la capacità di movimento e la forza muscolare con esercizi di ginnastica (chinesiterapia).
    I bambini con AIG oligoarticolare (soprattutto le bambine più piccole e con gli ANA positivi) possono andare incontro ad un’infiammazione oculare, che può colpire entrambi gli occhi, e che prende il nome di uveite anteriore o irido-ciclite cronica (ICC)3. L’ICC solitamente si manifesta dopo l’artrite, nei primi mesi o anni dall’esordio dell’artrite; più passa il tempo meno è probabile che la complicanza oculare faccia la sua comparsa. L’ICC viene definita “cronica” sia nel senso che non è un’infiammazione con sintomi acuti (infatti è, di solito, completamente asintomatica, l’occhio non si arrossa, il bambino non lamenta dolore né disturbi della vista) sia perché gli episodi di ICC possono ritornare più volte o diventare cronici.
    Talvolta, un minimo disturbo della visione (visione un po’ offuscata) può esserci, ma il bambino, soprattutto quanto più è piccolo, può non essere in grado di individuarlo o di riferirlo. È perciò di estrema importanza che tutti i bambini con AIG vengano controllati periodicamente dall’oculista, con un particolare esame che si chiama esame biomicroscopico con lampada a fessura (LAF), che consente all’oculista di vedere se all’interno dell’occhio (nella cosiddetta camera anteriore) siano presenti segni di infiammazione (il segno dell’infiammazione si chiama Tyndall e viene espresso con +, ++, +++ a seconda della sua gravità). L’infiammazione oculare va subito curata per evitare che, persistendo, possa portare a delle complicazioni quali la cataratta (cioè l’opacizzazione del cristallino, che è la lente posta all’interno dell’occhio), la cheratopatia a bandeletta (cioè l’opacizzazione della cornea) o il glaucoma (aumento della pressione all’interno dell’occhio) o infine a danni irreversibili alla vista, fino alla cecità. In qualche raro caso l’ICC precede l’artrite, e in questi casi è molto difficile accorgersene e fare una diagnosi precoce, proprio perché la malattia oculare non dà sintomi e, se anche venisse riconosciuta, sarebbe difficile capirne la causa finché l’artrite non abbia fatto la sua comparsa. Solitamente l’ICC si cura con semplici colliri a base di cortisone e di sostanze che dilatano la pupilla (midriatici); in qualche caso, se le cure locali non risultano efficaci, è necessario ricorrere a terapie per via generale, analoghe a quelle che si fanno per l’artrite. È importante sapere che l’attività e la gravità dell’artrite e dell’uveite non vanno di pari passo, l’artrite può essere lieve e l’uveite grave e questa può essere attiva quando l’artrite è spenta e viceversa.
  • Poliartrite
    La forma di AIG poliarticolare interessa fin dall’inizio (cioè nei primi sei mesi dall’esordio della malattia) più di quattro articolazioni.
    Può interessare sia le grosse articolazioni degli arti sia le piccole articolazioni delle mani e dei piedi. In pochissimi casi di AIG poliarticolare è presente nel sangue (nel siero del sangue) un particolare auto-anticorpo che si chiama fattore reumatoide (FR), lo stesso che si trova nelle forme di AR dell’adulto, e che si evidenzia con un semplice esame del sangue (il RA-test). Questa forma si chiama perciò AIG poliarticolare sieropositiva per il fattore reumatoide (FR)4. La poliartrite sieropositiva per il FR è la forma più rara di AIG (solo il 5-10% di tutti i casi) e se non curata precocemente può avere un’evoluzione grave, lasciando danni irreversibili alle articolazioni tali da comprometterne la capacità di movimento.
    La poliartrite sieropositiva per il FR è la stessa malattia dell’AR dell’adulto e, nella maggior parte dei casi, colpisce le ragazze in età puberale. La maggior parte delle forme di AIG poliarticolare sono poliartriti sieronegative per il FR, e hanno un andamento solitamente meno grave delle forme di AR dell’adulto.
  • Artrite sistemica
    La forma cosiddetta di AIG sistemica (che possiamo chiamare anche morbo di Still dal nome del medico inglese che per primo la descrisse) all’esordio presenta anche sintomi generali e non solo articolari: è costantemente presente una febbre elevata, anche 40-41°C, a puntate quotidiane (una o due puntate al giorno) solitamente di breve durata (poche ore) e con intervalli di completa defervescenza (cioè di temperatura normale) tra una puntata e l’altra; più spesso la febbre si presenta la sera. Questa febbre, che definiamo “intermittente”, dura settimane o mesi e spesso si associa a un caratteristico esantema (un’eruzione cutanea) che ricorda molto quello del morbillo (macchioline rosate leggermente rilevate, solitamente non pruriginose che compaiono soprattutto sul tronco, alla radice delle cosce e delle braccia, e anche al volto). Questo esantema è “evanescente”, nel senso che appare e scompare rapidamente, durando poche ore, solitamente in concomitanza con le puntate febbrili. L’esantema o “rash” può anche essere provocato dallo sfregamento della cute. L’artrite, all’inizio, può non risultare molto evidente; possono esserci soltanto dolori articolari (artralgie) e muscolari (mialgie), che si presentano, o si accentuano, in concomitanza con le puntate febbrili, ma con il tempo l’artrite si manifesta chiaramente.
    Altri sintomi sistemici sono l’ingrossamento del fegato, della milza e delle linfoghiandole (linfonodi) al collo, alle ascelle e all’inguine. Infine, può esserci un’infiammazione del foglietto che avvolge il cuore (il pericardio), e il medico diagnosticherà una pericardite, o più raramente dei rivestimenti che avvolgono il polmone (la pleura, pleurite) o l’intestino (il peritoneo, peritonite).
    L’AIG sistemica, in un terzo circa dei casi, dopo un solo episodio di attività di durata variabile, solitamente mesi, guarisce lasciando solo minimi danni articolari o nessun danno. In un altro terzo dei casi la malattia può avere un andamento a cicli, può durare mesi e poi scomparire e, successivamente, ripresentarsi dopo un periodo di tempo variabile anche di anni, alternando periodi di attività infiammatoria e periodi di remissione, e poi guarire lasciando danni articolari più o meno gravi. Infine, in circa un bambino su tre, può evolvere in una forma di poliartrite cronica grave che, se non risponde alle cure o non viene precocemente curata, può lasciare danni anche molto gravi alle articolazioni e compromettere la crescita del bambino.
  • Artrite psoriasica
    La psoriasi è una malattia della pelle che si manifesta con chiazze arrossate e desquamanti. Quando un bambino che ha l’artrite ha anche la psoriasi, o ce l’ha un suo parente di primo grado (genitori o fratelli), si parla di artrite psoriasica. Questa forma di artrite è, solitamente, un’oligoartrite, e può colpire ad esempio il ginocchio e/o la caviglia. Una manifestazione molto caratteristica di questa forma è il cosiddetto dito a salsicciotto o “dattilite” (uno o più dita della mano o del piede si gonfiano interamente, non solo a livello dell’articolazione). In qualche caso, più raro, l’artrite può interessare le anche (dette articolazioni coxo-femorali) o la schiena (cioè le articolazioni poste nel bacino ai lati dell’osso sacro, tra l’osso sacro e le ali iliache, dette sacro-iliache oppure la colonna vertebrale). Nella maggior parte dei casi l’artrite precede la psoriasi perciò la presenza di psoriasi nei familiari può aiutare il medico a fare la diagnosi.
  • Sindrome entesite artrite (Entesitis related arthritis – ERA)
    È così chiamata perché l’infiammazione interessa non solo la membrana sinoviale articolare (artrite), ma anche le inserzioni tendinee, cioè il punto dove i tendini si attaccano all’osso (e questo punto si chiama: entesi, perciò entesite). Le inserzioni tendinee più spesso colpite dall’infiammazione sono quelle dei talloni con dolore (talalgia) sotto al tallone o dietro il tallone, a livello del tendine d’Achille. Questo tipo di artrite, solitamente, colpisce i ragazzi intorno agli 8-10 anni, ed è l’unica forma di AIG che è più comune nei maschi.
    Di solito colpisce solo poche articolazioni, quasi sempre le articolazioni degli arti inferiori. La sindrome ERA può colpire in modo caratteristico le articolazioni sacro-iliache e può evolvere in età adulta interessando le articolazioni vertebrali della schiena (si parla in questo caso di spondiloartropatia o spondilite).
    Le altre forme di AIG non interessano mai la schiena. Anche in questa forma può esserci un’infiammazione oculare, un’uveite anteriore, che colpisce solitamente solo un occhio; è un’infiammazione acuta (uveite anteriore acuta) che dà subito segni di sé: rossore congiuntivale, lacrimazione, dolore, fotofobia (fastidio e impossibilità ad aprire gli occhi quando c’è luce), sensazione di corpo estraneo o di sabbia negli occhi. È perciò facile da diagnosticare e, generalmente, guarisce più o meno rapidamente con le cure adatte (di solito colliri cortisonici). Tuttavia, tende a ritornare nello stesso occhio o, indifferentemente, in quello controlaterale. Sia la sindrome ERA che questo specifico tipo di uveite sono legati ad una particolare costituzione genetica predisponente, che si mette in evidenza con un esame del sangue che si chiama HLA-B27.
    L’HLA-B27 è positivo nella maggior parte di questi casi, tuttavia la sua assenza non esclude la diagnosi.

LA CRESCITA NELL’AIG

Alcuni bambini possono avere una crescita ritardata e più lenta ed essere meno alti dei coetanei sani; questo avviene soprattutto nelle forme poliarticolari più gravi e nelle forme sistemiche, se l’infiammazione si mantiene a lungo attiva e se richiede prolungate terapie con il cortisone. Il cortisone rallenta la crescita staturale, va perciò somministrato quando è necessario, ma alla dose minima efficace e per il più breve periodo di tempo, nell’attesa che altre terapie più lente ad agire facciano il loro effetto. Le forme oligoarticolari possono, invece, presentare problemi localizzati della crescita di un arto. Nel caso più tipico, che è quello dell’artrite in un solo ginocchio, la gamba malata può crescere un po’ di più di quella sana. Una frequente conseguenza di questa crescita asimmetrica è il valgismo dell’arto affetto (ginocchia cosiddette a x). In altre articolazioni avviene il contrario: la crescita del segmento, dove l’articolazione è infiammata, si arresta più precocemente. Questo è quello che avviene a livello della mandibola e spiega il mento sfuggente (micrognazia) di alcuni bambini con AIG, oppure (se è affetta l’articolazione di un solo lato) le asimmetrie del volto.

COME SI DIAGNOSTICA L’AIG?

La diagnosi di AIG è soprattutto una diagnosi clinica, cioè essenzialmente basata sulle manifestazioni cliniche. I sintomi più evocatori sono: la presenza di dolore e/o di tumefazione persistente in una o più articolazioni, la cadenza mattutina del dolore e della rigidità articolare e la rigidità dopo un periodo prolungato di immobilizzazione, che si attenua invece e migliora con il movimento. Il caso più comune è quello del bambino che zoppica al mattino. Nel caso della forma sistemica, la presenza della caratteristica febbre intermittente, non dovuta a infezioni (non responsiva perciò alla terapia antibiotica), e l’associazione con il rash, cioè l’esantema morbilliforme evanescente, sono i sintomi più caratteristici.

Per diagnosticare un’AIG è necessario poter escludere tutte le altre malattie che possono simulare un’AIG manifestandosi con un’artrite, per esempio un’artrite settica (dovuta a un’infezione di un germe che vive e si moltiplica nell’articolazione) o un’artrite “reattiva”, conseguente ad una pregressa infezione in un’altra sede (per esempio un’infezione della gola o del polmone o un’infezione intestinale). Le artriti reattive, solitamente, si esauriscono e guariscono anche da sole in poche settimane o pochi mesi. L’artrite, solitamente un’artrite poliarticolare, può anche essere sintomo di altre più rare malattie reumatiche autoimmuni come il lupus eritematoso sistemico giovanile e la dermatomiosite giovanile, e anche di malattie di diversa natura come una leucemia. Il pediatra, nella maggior parte dei casi, potrà facilmente sospettare, o escludere, queste malattie sulla base dell’esito degli esami del sangue in quanto queste patologie presentano, generalmente, delle alterazioni molto caratteristiche degli esami di laboratorio.

  • Gli esami di laboratorio
    Non c’è alcun esame del sangue o delle urine o del liquido sinoviale o altro test che ci consenta di diagnosticare con certezza l’AIG. Gli esami di laboratorio aiutano a confermare il sospetto diagnostico di AIG e ad escludere altre malattie che possono simulare un’AIG. Gli indici di infiammazione (VES, PCR) sono solitamente elevati, soprattutto nelle forme poliarticolari e sistemiche, ma possono essere normali, soprattutto nelle oligoarticolari. In ogni caso, l’aumento degli indici di infiammazione è un segno del tutto aspecifico che può essere presente in qualsiasi tipo di infiammazione (per esempio una tonsillite o una bronchite). Può esserci una modesta anemia (cioè un valore più basso del normale dell’emoglobina con un numero di globuli rossi solitamente normale o di poco diminuito, ma più piccoli del normale).
    I globuli bianchi e le piastrine, invece, possono essere aumentati di numero (questo è un segno di infiammazione attiva) in modo anche molto cospicuo soprattutto nelle forme sistemiche. Le piastrine servono per la coagulazione del sangue e, normalmente, non superano nel bambino le 400-500.000. Nell’AIG sistemica possono arrivare a un milione e oltre, ma questo non comporta un aumento della coagulazione del sangue né trombosi. Un altro elemento estremamente caratteristico della forma sistemica è l’aumento della ferritina. La presenza nel sangue degli ANA e del FR non basta a fare la diagnosi di AIG, ma, una volta che questa diagnosi sia stata fatta sulla base dei sintomi clinici, serve a confermarla e a distinguere le differenti forme di AIG. Il FR, e soprattutto gli ANA, in scarsa quantità (cioè a basso titolo), possono essere presenti anche in soggetti sani o essere la conseguenza di precedenti infezioni virali (esempio: mononucleosi).
  • Esame del liquido sinoviale e biopsia sinoviale
    Il medico può essere in difficoltà a fare la diagnosi, soprattutto nel caso di un’artrite che colpisca una sola articolazione. La monoartrite del ginocchio è una manifestazione molto comune dell’AIG, soprattutto all’esordio. L’esame più importante, per fare la diagnosi, escludendo altre possibili cause, è l’esame del liquido sinoviale. Il liquido sinoviale va aspirato mediante puntura dell’articolazione (artrocentesi) e va inviato al laboratorio per fare le opportune analisi.
    La conta dei globuli bianchi e l’esame colturale del liquido sinoviale sono necessari per escludere la natura infettiva dell’artrite (artrite settica). Nel caso che con l’artrocentesi si estragga sangue il medico dirà che c’è un “emartro” e penserà ad altre malattie più rare. La possibile causa traumatica può essere presa in considerazione solo nei ragazzi più grandi, non si deve invece dare valore agli innumerevoli piccoli traumi ai quali i bambini più piccoli vanno quotidianamente incontro durante i loro giochi. Nel bambino in età prescolare e nei primi anni delle elementari, il trauma non è praticamente mai la causa di un versamento articolare e la diagnosi di gran lunga più probabile, di fronte ad un ginocchio con versamento, è quella di AIG.
    Nel caso di un bambino con monoartrite o oligoartrite va fatta immediatamente anche la visita oculistica con lampada a fessura (LAF) perché, se si evidenziassero eventuali segni di un’uveite anteriore (ICC), in atto o pregressa, questi non solo avvalorerebbero la diagnosi di AIG (soprattutto se gli ANA sono positivi), ma soprattutto andrebbero immediatamente curati]. Nei casi dubbi di monoartrite, per escludere altre malattie più rare della membrana sinoviale, può essere necessario fare anche una biopsia sinoviale in artroscopia, che consiste nell’introdurre una sonda a fibre ottiche all’interno del ginocchio per esplorare la cavità articolare, vedere le cartilagini articolari che rivestono l’osso, verificandone l’integrità o meno, vedere l’aspetto della membrana sinoviale e prelevarne un pezzetto per l’esame istologico.
    Quando si sospetta un’AIG sistemica, in un bambino che abbia febbre e dolori, ma la diagnosi non sia ancora certa, perché non è ancora comparsa la caratteristica artrite, è necessario fare una biopsia del midollo osseo per escludere una leucemia.
    Gli esami di laboratorio, una volta che la diagnosi sia stata fatta, ci aiutano a seguire l’andamento della malattia e a valutare sia se le terapie prescritte siano efficaci, sia se siano prive di conseguenze nocive su altri organi come il fegato o il rene o il midollo emopoietico (quello cioè che produce le cellule del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine).
  • Le indagini strumentali
    Le radiografie all’inizio dell’AIG sono normali. Le radiografie, anche nel caso di interessamento articolare asimmetrico, cioè dell’articolazione di un solo lato del corpo, vanno sempre eseguite comparate, cioè da entrambi i lati, perché solo confrontando l’aspetto dell’articolazione sana con quello dell’articolazione malata si possono mettere in evidenza i segni iniziali di un’infiammazione articolare persistente. Nelle radiografie l’articolazione malata appare più matura di quella sana (si dice che l’età ossea del lato malato sia maggiore di quella del lato sano). Un altro segno radiologico precoce dell’infiammazione è l’osteoporosi (cioè una rarefazione della trama dell’osso, un osso più fragile) cosiddetta iuxta-articolare o distrettuale, perché presente solo nel segmento dell’osso in prossimità dell’articolazione infiammata. Ciò è dovuto sia all’infiammazione sia al fatto che il bambino usa meno e carica meno l’articolazione malata e dolente; per esempio, sale le scale mettendo avanti sempre la gamba sana e quando sta fermo in piedi si appoggia sempre su quella.
    Un’altra semplice indagine radiologica, che può essere fatta senza difficoltà, anche nei bambini più piccoli, è l’ecografia, che ci fa vedere la presenza del versamento articolare e ci fa vedere anche se la membrana sinoviale è infiammata e, perciò, ispessita (il referto del radiologo sarà quello di un’ipertrofia sinoviale o anche di un’ipertrofia villosa della membrana sinoviale). Un esame ecografico più accurato, ma che non ancora tutte le strutture ospedaliere sono in grado di effettuare, è l’eco-power-doppler che consente di vedere anche il maggior afflusso di sangue nella membrana sinoviale (l’ipervascolarizzazione), che è un indice di importante infiammazione. L’ecografia è un esame che il vostro bambino può ripetere anche parecchie volte perché non si prendono radiazioni (raggi x), come con le radiografie convenzionali. Il medico richiederà sempre con molta ponderazione le radiografie convenzionali, che sono giustificate all’esordio della malattia per poter formulare la diagnosi escludendo altre possibili cause di artrite; le radiografie verranno poi ripetute dopo un ragionevole intervallo di uno o più anni, se è necessario monitorare l’evoluzione dell’artrite e giudicare se la terapia è efficace o no.
    La risonanza magnetica nucleare (RMN) è invece un esame che non va fatto di routine per la diagnosi di AIG, ma è necessario solo nel sospetto di altre malattie o per escluderle o nel sospetto di complicazioni (per esempio, necrosi asettica dei nuclei di accrescimento, o algodistrofia secondaria) o in casi particolari per evidenziare precocemente l’eventuale comparsa di erosioni cartilaginee e per un più preciso controllo della loro progressione. Oltretutto nel bambino piccolo, che non è in grado di restare immobile per il tempo necessario all’esecuzione dell’esame, la RMN richiede l’anestesia generale.

COME SI CURA L’AIG

La terapia dell’AIG è piuttosto complessa e richiede la collaborazione di diversi specialisti (pediatra-reumatologo, chirurgo ortopedico, fisiatra, oculista). Il pediatra ha il compito di sospettare precocemente la diagnosi di AIG e di avviare le indagini necessarie, ma la diagnosi definitiva e la terapia di questa complessa malattia vanno fatte nelle strutture specialistiche di reumatologia pediatrica. Purtroppo queste strutture sono ancora poche e, in molte regioni, sono del tutto assenti. Certamente l’incertezza e il dubbio delle prime settimane, dal momento in cui viene scoperta l’artrite al momento in cui vien fatta la diagnosi, saranno fonte per voi, la vostra famiglia e il vostro bambino di ansietà e difficoltà emotive. Tuttavia è importante per voi sapere che ci vuole del tempo perché il vostro pediatra-reumatologo abbia l’assoluta certezza della diagnosi di AIG e che ci vuole del tempo, anche dei mesi (3-6 mesi), prima che le cure prescritte facciano il loro completo effetto. Una volta che la diagnosi sia stata fatta verrà impostato, spiegato e discusso con voi, un programma terapeutico che comprenderà medicine e ginnastica (terapia fisica riabilitativa-preventiva). Vi verrà consegnato un documento che indicherà la diagnosi, le terapie e i controlli necessari: visite successive (reumatologiche e oculistiche) ed esami del sangue.

  • La terapia farmacologica
    Purtroppo non ci sono ancora farmaci in grado di “guarire” sicuramente l’AIG, di risolvere per sempre il problema. Il nostro obiettivo è quello di controllare rapidamente l’infiammazione articolare in modo che questa non lasci danni alle articolazioni e, nel caso dell’AIG sistemica, di controllare anche l’infiammazione sistemica. Il compito del reumatologo-pediatra è proprio quello di aiutare il bambino o l’adolescente ad attraversare il percorso della malattia con le cure più adatte a tenere sotto controllo l’infiammazione, in modo che questa non lasci dei danni e la sua vita sia il più possibile normale.
    Molte forme di AIG, con le opportune terapie, dopo un periodo più o meno lungo di attività, guariscono. Molti bambini arrivano all’età adulta senza più problemi. Quanto più precocemente ed efficacemente verrà curato il vostro bambino, tanto maggiori saranno le probabilità di guarigione definitiva o comunque le probabilità che la malattia non lasci danni gravi e irreversibili. Perché la terapia dia il massimo della sua efficacia, le medicine devono sempre essere prese regolarmente ed esattamente come prescritto, alle dosi e negli orari prescritti. L’aderenza alle cure prescritte, un atteggiamento di fiducia, ottimismo e serenità, ma anche la vostra determinazione nell’affrontare la malattia del vostro bambino, saranno un elemento fondamentale del successo terapeutico.
    Qualsiasi dubbio deve essere manifestato e discusso con il pediatra e il pediatra-reumatologo.
    Attualmente abbiamo a disposizione farmaci che riducono l’infiammazione e la febbre e alleviano il dolore. Questi farmaci si chiamano anti-infiammatori non-steroidei o FANS. Tra questi FANS quelli più usati nell’AIG sono l’ibuprofene, il flurbiprofene, il naproxene. In qualche caso si possono usare anche altri FANS come il diclofenac e l’indometacina e il meloxicam (quest’ultimo, tra quelli recentemente introdotti, è l’unico ufficialmente sperimentato nell’AIG). Sarà il vostro reumatologo-pediatra sulla base della sua esperienza a giudicare, nel singolo caso, il farmaco più indicato, più efficace e meglio tollerato. Non c’è ancora esperienza, in età pediatrica, sull’uso dei FANS più recenti i cosiddetti cox2-inibitori. I bambini, solitamente, tollerano meglio degli adulti i FANS, hanno cioè meno problemi gastrici, ma bisognerà ricordare di somministrarli sempre dopo il pasto. I FANS non curano l’artrite, ma danno sollievo ai sintomi. A volte è sufficiente somministrare una sola dose serale prima di coricarsi per evitare il dolore e la rigidità mattutina. Non è indicata l’associazione tra diversi FANS, ma a volte un FANS può risultare efficace dove un altro ha fallito. Qualche volta è necessario provare diversi FANS prima di trovare quello che funziona meglio nel singolo caso.
    Gli steroidi (il cortisone) sono potentissimi anti-infiammatori e possono essere utilizzati solo in particolari condizioni e attenendosi a regole precise, tra le quali anche la necessità di prevenire le inevitabili complicazioni di questa terapia (osteoporosi, rallentamento della crescita e obesità) attraverso la prescrizione di terapie di supporto (vitamina D e calcio) e di una dieta adeguata: ricca di vitamine, latte e latticini magri, pesce e verdure fresche e povera di zuccheri e grassi. Una volta ottenuto l’effetto desiderato è importante che il dosaggio degli steroidi venga progressivamente ridotto fino a sospendere la terapia. La riduzione, tuttavia, va fatta gradualmente, seguendo le indicazioni del vostro reumatologo-pediatra: un’interruzione brusca potrebbe comportare delle complicazioni o una riacutizzazione dalla malattia.
    La seconda categoria di farmaci che abbiamo a disposizione per curare l’AIG sono i cosiddetti “farmaci di fondo”, in inglese “Disease-modifying antirheumatic drugs” (DMARDs), cioè farmaci che hanno lo scopo di prevenire l’estensione del coinvolgimento articolare e la cronicizzazione dell’artrite e di ottenere la remissione della malattia. Questi farmaci vengono anche chiamati farmaci ad “azione lenta” in quanto la loro efficacia si manifesta in pieno solo dopo 3-6 mesi di terapia e perciò vanno, inizialmente, associati ai FANS e/o al cortisone, che danno un sollievo immediato. Il primo DMARD che il vostro reumatologo-pediatra utilizzerà, subito dopo aver formulato con certezza la diagnosi di AIG, è il metotressato (MTX). Il MTX ha un’attività anti-infiammatoria, ma è anche in grado, in alcuni pazienti, di portare alla remissione della malattia. Il MTX è un farmaco che si somministra una sola volta alla settimana sia per bocca sia traverso iniezioni intra-muscolari o sottocutanee. La somministrazione per iniezioni è indicata quando si debbano aumentare le dosi per ottenere una risposta clinica più efficace. Questo farmaco è quello di gran lunga più utilizzato in tutto il mondo e ha dimostrato di essere efficace e ben tollerato nel 60-70% dei bambini con AIG. Il disturbo più frequentemente causato da questa terapia è un malessere nelle ore successive alla somministrazione, con nausea e più raramente vomito, spossatezza e mal di testa. Si può cercare di prevenire questo disturbo somministrando prima del MTX dei farmaci contro la nausea e il vomito.
    È utile somministrare, dopo 24-48 dal MTX, una vitamina (acido folinico). Un’altra alterazione, che si può riscontrare negli esami del sangue, nel corso della terapia con MTX, è l’elevazione delle transaminasi (SGOT/SGPT o ALT/AST), solitamente modesta e non preoccupante, che si risolve riducendo la dose o aumentando, per un certo periodo, gli intervalli di somministrazione del farmaco.
    Qualche volta ci può essere una riduzione del numero dei globuli rossi o dei globuli bianchi. Per questi motivi il medico chiederà periodicamente il controllo degli esami del sangue (emocromo e transaminasi). Solitamente la terapia con MTX va mantenuta a lungo e per almeno un anno dopo aver ottenuto la remissione completa dell’artrite. Altre terapie di fondo, che si possono usare nell’AIG, in sostituzione o in associazione al MTX, quando questo non sia stato efficace o non sia stato tollerato, sono la ciclosporina e la salazopirina. Nei ragazzi più grandi si può usare anche la leflunomide, la cui sperimentazione nell’AIG è, tuttavia, ancora in corso.
    Ora abbiamo a disposizione una terza categoria di farmaci, cosiddetti farmaci “biologici” non perché si tratti di farmaci naturali, ma perché si tratta di molecole costruite in laboratorio, uguali a molecole presenti nel nostro organismo e prodotte per neutralizzare o inattivare le molecole che causano l’infiammazione.
    Questi farmaci si sono dimostrati straordinariamente efficaci nel curare l’AIG, l’80% circa dei bambini e ragazzi con AIG risponde a queste cure rapidamente, già nel giro di pochi giorni o settimane.
    Attualmente tra questi farmaci l’unico approvato dal Ministero della Sanità per l’uso nell’AIG è l’etanercept, che blocca/inibisce una molecola (citochina) pro-infiammatoria chiamata tumor necrosis factor (TNF). Tuttavia, sono stati sperimentati, con analoghi risultati in termini di efficacia e tollerabilità, anche altri due inibitori del TNF: l’infliximab e l’adalimumab. I farmaci biologici devono essere prescritti tempestivamente, nelle forme che possono avere un’evoluzione grave e lasciare dei danni, nel caso che non si ottenga una risposta ottimale al MTX o che questa terapia non sia tollerata. In ogni caso è meglio che siano associati al MTX o ad un altro DMARD. Altri farmaci biologici sono in corso di sperimentazione come l’abatacept, o sono stati oggetto di studi pilota come l’anakinra e il tocilizumab, che sembrano molto promettenti, soprattutto per la terapia delle forme sistemiche. La terapia con farmaci biologici può ridurre le difese dell’organismo nei confronti delle infezioni batteriche e virali: per tale motivo il pediatra dovrà sempre esserne informato, non dovrà sottovalutare le malattie infettive, anche apparentemente banali, e ritardare a prescrivere gli antibiotici, e in corso di malattie infettive intercorrenti si dovrà temporaneamente sospendere la terapia biologica. Una malattia che potrebbe avere complicazioni, anche gravi, in corso di terapia biologica è la varicella; per tale motivo, a meno che il vostro bambino non l’abbia già contratta in passato, si dovrà o vaccinarlo, almeno tre mesi prima dell’inizio del biologico, oppure, in caso di possibile contagio, dovrà fare la prevenzione con gamma-globuline e se si ammala di varicella dovrà essere subito curato con gli antivirali.
    Qualsiasi manifestazione clinica insolita, che compaia nel corso di terapia biologica, va prontamente riferita al pediatra e al reumatologo-pediatra che segue il vostro bambino. Talora i genitori, preoccupati delle possibili complicazioni delle terapie convenzionali, si rivolgono alla medicina alternativa, come l’omeopatia. Queste terapie, anche se di per sé non sembrano essere nocive e possono essere associate alle terapie convenzionali, non sono mai state studiate in modo scientifico per valutare la loro eventuale efficacia sull’AIG.
  • La fisio-chinesiterapia
    Le terapie fisiche e il programma di esercizi di ginnastica, studiato individualmente per il vostro bambino, sono uno dei momenti fondamentali della cura dell’AIG.
  • Terapia fisica
    La terapia con il calore (termoterapia) ha un’azione miorilassante, decontratturante e analgesica che può servire allo scopo di ridurre la rigidità mattutina e di preparare il bambino alla ginnastica. Quasi tutti i reumatologi-pediatri sono soliti consigliare ai bambini affetti da AIG un bagno caldo al risveglio mattutino. Per evitare di peggiorare la rigidità mattutina, soprattutto per i bambini più piccoli, bisognerà avere cura che non si disperda il calore del corpo durante il riposo notturno, utili perciò i pigiamoni-coperta. Sono utili, soprattutto prima della ginnastica, i bagni caldi di paraffina per mani e piedi e gli impacchi con asciugamani bagnati caldi per ridurre lo spasmo doloroso della muscolatura lombare e cervicale. L’applicazione di freddo, con la borsa del ghiaccio o i cold packs (crioterapia), ha un’azione vasocostrittrice, riduce il versamento e riduce il dolore e può risultare utile sulle articolazioni con infiammazione nelle fasi acute. Benché molti degli effetti terapeutici del caldo e del freddo si sovrappongano la maggior parte dei bambini preferisce l’applicazione del caldo piuttosto che del freddo. Noi solitamente usiamo il caldo per ridurre lo spasmo muscolare e il freddo nell’infiammazione acuta con versamento. L’idroterapia in piscina riscaldata è utile sia come termoterapia sia per consentire il movimento in scarico delle articolazioni che portano il peso del corpo (anche, ginocchia, caviglie e piedi) quando il bambino non sia in grado di camminare a causa di una fase acuta o degli esiti della sua malattia.
  • Gli esercizi di ginnastica (l’importanza fondamentale della chinesiterapia o terapia col movimento)”
    Il bambino tende a non lamentarsi del dolore, ma a limitare il movimento delle articolazioni dolenti e ad assumere, sia a riposo che durante le varie attività motorie, posizioni o atteggiamenti antalgici. Questa tendenza spontanea a non usare un’articolazione dolente o ad usarla in modo scorretto, favorisce la naturale evoluzione della malattia verso la progressiva rigidità e deformità delle articolazioni malate. Di qui l’estrema importanza della terapia col movimento. Nelle forme di AIG più lievi, o all’esordio, non è solitamente necessario indicare un preciso programma di esercizi di ginnastica, sarà però necessario rispettare delle regole generali: incoraggiare la deambulazione e il carico, evitare l’immobilizzazione prolungata nella posizione seduta, intervallando il tempo dedicato alla studio con quello dedicato alle attività ludico-sportive, incoraggiare la pratica di quotidiani esercizi di ginnastica attiva globale, che stimolino anche l’equilibrio e la coordinazione muscolare. Sono raccomandati soprattutto sport atraumatici come il nuoto e la bicicletta, ma non siamo particolarmente restrittivi per quanto riguarda le attività fisiche più energiche. Se non in casi particolari, riteniamo più opportuno che il ragazzo impari da sé a giudicare le sue capacità. È importante incoraggiare la deambulazione, anche nei bambini più piccoli, che tendono facilmente a passare troppo tempo sul passeggino o in braccio ai genitori. La prescrizione di un preciso programma di ginnastica ha lo scopo di mantenere o recuperare la forza muscolare e la completa capacità di movimento delle articolazioni malate. Gli esercizi di ginnastica andranno impostati dal vostro reumatologo-pediatra in collaborazione con il fisiatra o il fisioterapista; si tratta di esercizi semplici, che i genitori e i bambini più grandi possono imparare e continuare a praticare anche a casa. Per favorire l’effettiva esecuzione degli esercizi prescritti (cioè l’aderenza alle prescrizioni) il programma di esercizi di ginnastica deve essere realistico, non deve essere una battaglia quotidiana tra il bambino e i suoi genitori e deve impegnare non più di 30 minuti al giorno. Il bambino e i genitori devono aver compreso bene i suoi scopi e le sue modalità, il programma deve essere controllato periodicamente in ambulatorio dal fisiatra o fisioterapista. Raccomandiamo alcuni semplici accorgimenti: 1) lasciare al bambino qualche scelta: quando fare gli esercizi e in che ordine e quale giorno di vacanza prendersi durante la settimana; 2) mantenere sempre un atteggiamento di aspettativa positiva, riguardo all’utilità del programma; 3) rinforzare i comportamenti corretti del bambino e non assecondare i suoi pianti e i suoi capricci, eventualmente negoziare preventivamente qualche ricompensa. Bisogna sempre ricordare che la riabilitazione deve essere prima di tutto e soprattutto prevenzione, ma anche nel caso che l’artrite avesse già creato delle rigidità articolari o dei danni alle cartilagini e all’osso, la capacità di guarigione e di miglioramento di un organismo in crescita saranno sorprendenti, e gli esercizi di ginnastica aiutano molto in questo. Purtroppo è ancora possibile vedere bambini che, perché non adeguatamente e/o tempestivamente curati, o per l’aggressività della malattia, giungono in condizioni di disabilità completa, soprattutto per quanto riguarda la capacità di camminare. Si deve cercare di preservare in ogni modo la deambulazione perché la sedia a rotelle e le stampelle (bastoni canadesi) rendono il bambino per definizione un invalido, riducono la sua autostima, lo escludono dall’interazione con i coetanei; se perciò il bambino smette di camminare noi prescriviamo immediatamente il ricovero ospedaliero per cure riabilitative intensive. Vale la pena, anche in questi casi, di perseguire con determinazione e tenacia il programma terapeutico perché nell’età della crescita c’è sempre una possibilità di recupero, anche nei casi che si presentino già con lesioni articolari importanti. A questo scopo è utile, soprattutto all’inizio del trattamento riabilitativo, l’idroterapia (piscina riscaldata a 32-33°C), sia nel senso di termoterapia che per favorire la mobilizzazione in scarico delle articolazioni portanti e consentire i primi tentativi di deambulazione autonoma. Le posizioni corrette durante la notte saranno quella supina o prona, che sfruttando l’effetto della gravità favoriscono l’estensione delle anche e delle ginocchia. Il bambino non dovrà dormire rannicchiato sul fianco o con il cuscino sotto le ginocchia, perché, anche se queste posizioni possono apparire più confortevoli, favoriscono le deformazioni articolari di anche e ginocchia. Quando il bambino non è ancora in grado di reggersi in piedi è opportuno favorire l’uso del triciclo (con sellino alto per permettere la completa estensione delle anche e delle ginocchia) che rappresenta non solo un ottimo esercizio, ma anche uno strumento per il recupero dell’autonomia. I ragazzi più gravemente disabili dovranno essere messi in condizione di svolgere la maggior parte delle attività della vita quotidiana, in modo da potersi sentire uguali ai coetanei. Questo si ottiene anche attraverso gli adattamenti degli oggetti d’uso comune e la ristrutturazione dell’ambiente. Ad esempio: vestirsi, allacciarsi i bottoni, le stringhe delle scarpe può essere un esercizio molto utile per promuovere l’abilità e la forza delle mani, ma se richiede un dispendio di tempo e di energie eccessivo o se risulta troppo frustrante sarà bene scegliere indumenti larghi, che il ragazzo possa infilare facilmente da solo, e modificare le allacciature sostituendo i bottoni con il velcro o cerniere. Perché il bambino possa nutrirsi da solo potrà essere necessario allargare le impugnature delle posate, se è compromessa la prensione, o allungarle, se è compromessa la flessione del gomito e/o della spalla, fornirlo di cannucce per bere, se non ha forza sufficiente per reggere un bicchiere pieno. Per scrivere potrà essere utile un tutore che stabilizzi il polso e penne leggere, con impugnatura larga. In casa potrà essere necessario sollevare l’asse del water, perché possa alzarsi più facilmente, fornire di sbarre di appoggio le pareti delle stanze, sostituire le maniglie a pomello con quelle a leva, disporre degli scivoli in luogo delle scale.
  • Aspetti particolari della fisio-chinesiterapia
    Un problema frequente è quello dell’interessamento del collo o rachide cervicale. In questo caso andrà indicata la posizione corretta durante il riposo notturno, che è quella supina con un cuscino molto basso. Di giorno il bambino, nelle fasi in cui il collo fosse dolente e ci fosse perciò la tendenza a mantenerlo flesso in avanti, deve essere abituato a portare un collare, soprattutto durante le attività sedentarie che costringono il collo in una posizione rigida in flessione come studiare o guardare la TV o lo schermo del PC. Allo scopo di favorire l’estensione del collo è molto utile anche l’uso di un leggìo durante le ore di studio e il buon posizionamento del televisore e dello schermo del PC che dovranno essere posti più alti della linea dello sguardo. È utile mantenere di giorno, per quanto possibile, la posizione prona; sdraiati pancia a terra, su un morbido tappetino, questi bambini possono fare molte cose come leggere, disegnare e praticare attività ricreative manuali, nello stesso tempo vengono sollecitati e rinforzati i muscoli estensori del capo, vengono anche favorite l’estensione delle anche e delle ginocchia.
    L’AIG colpisce spessissimo anche le articolazioni della mandibola dette temporo-mandibolari, talvolta senza dare subito dolore; per tale motivo ci si accorge che qualcosa non va solo quando il bambino incomincia ad avere difficoltà nella masticazione e ad aprire bene la bocca o se si nota un mento sfuggente (micrognazia) oppure, se è interessata l’articolazione di un solo lato, un’asimmetria del volto e, nell’apertura della bocca, una deviazione della mandibola da un lato. Un esame radiografico delle temporomandibolari (stratigrafia), un’ecografia e/o una RMN potranno mettere in evidenza il problema. In questi casi sono necessarie cure ortodontiche particolari e l’ortodonzista dovrà essere ben informato del fatto che il bambino ha un’AIG e che quindi anche il problema della bocca può essere dovuto a questa patologia. L’interessamento delle temporo-mandibolari va trattato, nell’eventuale fase acuta dolorosa, con il riposo articolare (dieta liquida e apparecchio notturno detto “bite”), con impacchi caldi per risolvere la contrattura muscolare e successivamente con particolari esercizi di ginnastica (esercizi di mobilizzazione attiva e stretching) che l’ortodonzista vi insegnerà. Un ottimo esercizio può essere rappresentato dall’abitudine di masticare il chewingum.
    Importante è preservare la funzione della mano, sia la prensione con forza che i movimenti fini. Le dita della mano del bambino artritico tendono a perdere sia la capacità di flettersi che di estendersi completamente. Bisognerà badare a conservare soprattutto la capacità di fare il pugno. L’incapacità di raddrizzare le dita (il deficit di estensione delle dita) è molto meno invalidante. Bisognerà incoraggiare tutte le attività che favoriscono il mantenimento di una valida muscolatura e dell’articolarità della mano come modellare il pongo e la creta, disegnare, pitturare, ritagliare e così via. Se è presente un interessamento del polso, che tende ad essere mantenuto flesso, bisognerà consigliare tutte le attività, giochi e sport, che favoriscono l’estensione del polso: dipingere su un cavalletto, giocare a palla a volo. In qualche caso sarà opportuno abituare il bambino all’uso dei cosiddetti “tutori da riposo” da portare durante la notte (palmarini) che mantengono il polso e la mano in una posizione funzionale.
    Nel caso di interessamento della spalla le attività ricreative e sportive più indicate sono: la palla a volo, il dipingere su un cavalletto posto più in alto del livello delle spalle, il nuoto sul dorso. L’interessamento del gomito comporta l’incapacità di stendere completamente il braccio e di supinarlo (che è quel movimento che consente di girare il palmo della mano verso l’alto), mentre la flessione è solitamente conservata. Se è conservata la motilità della spalla ciò ha scarsa ripercussione funzionale in quanto nelle attività della vita quotidiana (lavarsi i denti, mangiare, etc.) è molto più importante la possibilità di flettere il gomito oltre i 90° che non quella di estenderlo completamente.
    Le calzature dovranno essere comode, a pianta larga con punta “a biscotto”, per non favorire il valgismo dell’alluce e la rigidità in flessione delle dita e per consentire l’eventuale inserimento di solette plantari (per scaricare le teste metatarsali o per contrastare la tendenza al valgismo o al varismo del ginocchio e della caviglia) o di infradito in silicone che mantengano in posizione corretta le dita impedendone le deviazioni e gli accavallamenti.
  • Il riposo
    L’immobilizzazione completa e prolungata di un’articolazione non è mai indicata nell’AIG, così come il riposo assoluto, se non in casi estremi (come quello di una malattia con sintomi sistemici acuti e gravi). I bambini malati già riposano molto più dei bambini sani e la malattia pone dei limiti alla loro attività fisica, con gravi conseguenze sul loro sviluppo psicofisico; il medico perciò non dovrà porre ulteriori limiti, dovrà anzi incoraggiare questi giovani pazienti a condurre una vita il più possibile normale, come quella dei loro coetanei, in cui si alternano scuola, gioco e attività sportive atraumatiche. In generale sarà il bambino/ragazzo la miglior guida che dirà quando è stanco o quando ha male. Nei casi in cui siano presenti sintomi sistemici importanti (pericardite e/o miocardite) potrà essere necessario il riposo a letto anche durante il giorno, che dovrà comunque essere ridotto al minimo indispensabile. Anche in questi casi è però opportuno eseguire a letto esercizi di ginnastica, soprattutto per prevenire la debolezza e la riduzione della massa (ipotrofia) muscolare. È di estrema importanza, quando il bambino sia costretto a letto, il controllo delle posizioni degli arti (posture) e l’uso di tutori per il piede e la caviglia o di un archetto che tenga sollevate le coperte per evitare che queste, pesando a lungo sui piedi, favoriscano una deformazione in “equinismo”, che facilmente si osserva nei bambini a lungo obbligati a letto. Nel bambino in età scolare può essere utile un periodo di riposo dopo la scuola di circa 20-30 minuti in posizione corretta. Il riposo articolare, attuato con le docce/tutori in posizione funzionale, va mantenuto anche di giorno solo in caso di articolazioni particolarmente infiammate e dolenti e va comunque interrotto, due o più volte al giorno, per gli esercizi di mobilizzazione articolare.
  • Le terapie locali
    Per prevenire i danni articolari è opportuno tenere sotto controllo l’infiammazione con l’infiltrazione intra-articolare di preparati cortisonici che è, solitamente, in grado di risolvere in modo rapido, completo e persistente, anche se non definitivo, l’infiammazione sinoviale. Tale terapia, se utilizzata nel modo corretto [con scrupoloso rispetto delle norme igieniche (asepsi), praticata correttamente in sede intra-articolare, con intervalli adeguati tra le successive infiltrazioni, in modo da non praticarne in media più di 3 o 4 all’anno per articolazione] è praticamente priva di effetti collaterali locali e/o generali. L’infiltrazione viene solitamente seguita da un breve periodo (3-7 giorni) di immobilizzazione. Oltre alle ginocchia, tutte le articolazioni possono essere infiltrate. Possono essere infiltrate, con ottimi risultati e senza effetti collaterali, anche le guaine tendinee, soprattutto dei flessori delle dita della mano e degli estensori del polso.
    La terapia infiltrativa locale multipla è un approccio terapeutico adeguato anche per le forme poliarticolari, quando non ci sia stata un’adeguata risposta alle terapie mediche o per consentire l’iniziale recupero funzionale nell’attesa che le terapie con DMARDs ad azione lenta incomincino a dare il risultato sperato. Nei bambini più piccoli, e quando debba essere trattato un numero cospicuo di articolazioni, queste infiltrazioni vanno praticate in anestesia generale.
  • La terapia chirurgica
    Il chirurgo ortopedico viene coinvolto nella cura del bambino con AIG soprattutto quando si rendano necessari interventi chirurgici a scopo preventivo. Nel caso che l’infiammazione del ginocchio si mantenga attiva, nonostante la terapia infiltrativa locale ripetuta e le altre cure generali, si dovrà effettuare una “sinoviectomia artroscopica”, in anestesia generale, che ha lo scopo di rimuovere la membrana sinoviale malata prima che questa, crescendo/proliferando, danneggi le strutture intra-articolari (ossa, cartilagini, menischi e legamenti) o prima che si verifichino dei danni sulla crescita del ginocchio (allungamento della gamba e valgismo). La sinoviectomia nell’AIG viene praticata quasi esclusivamente a livello del ginocchio. Questo intervento nel bambino deve sempre essere praticato per via artroscopica. Nei piccoli pazienti, in particolare quelli in età prescolare, si devono prevedere le ovvie difficoltà ad ottenere la necessaria collaborazione alla riabilitazione post-chirurgica, che può essere dolorosa. Il risultato dell’intervento, praticato per via artroscopica, non può essere radicale perché rimangono sempre dei residui di membrana sinoviale, e quindi a volte non è definitivo perché da questi residui il tessuto patologico può nuovamente crescere. In rari casi è stato necessario ripetere l’intervento a distanza di anni. Per tale motivo è consigliabile far seguire all’intervento, dopo 2-3 settimane, l’infiltrazione steroidea. Di fronte ad un ginocchio che tenda a diventare valgo, si può prevenire il peggiorare di questa deformazione, e addirittura correggerla, con un semplice intervento chirurgico (emiepifisiodesi). Le sostituzioni protesiche nell’AIG vengono praticate soprattutto a livello delle anche, più raramente a livello delle ginocchia, in qualche caso delle spalle. Nell’AIG in caso di sostituzione protesica si deve tenere conto della ridotta taglia dello scheletro (necessità di protesi su misura progettate con uno studio TAC). Le protesi vanno eseguite a fine crescita, quando le cartilagini di accrescimento sono saldate. Tuttavia una certa immaturità scheletrica, nel caso di protesi dell’anca, non costituisce controindicazione assoluta all’intervento, perché le anche sono spesso così danneggiate che il loro contributo alla crescita staturale, già fisiologicamente modesto dopo gli 8 anni, diviene praticamente nullo. Queste protesi possono sopravvivere 25-30 anni e più prima che si manifesti un sensibile logorio dell’impianto. Gli interventi chirurgici ortopedici, sia a scopo preventivo (sinoviectomie, emiepifisiodesi) che correttivo (protesi), devono essere strettamente integrati con la fisio-chinesiterapia, che ne costituisce l’indispensabile complemento, sia in fase preparatoria che in fase di riabilitazione post-operatoria. L’intervento deve tener conto della fase evolutiva della malattia e della sua aggressività e delle implicazioni psicologiche nel singolo bambino e adolescente, che giocano un ruolo non secondario nell’accettazione rassegnata delle invalidità o, viceversa, nella determinata motivazione a star meglio. Il risultato finale dell’intervento riabilitativo è direttamente proporzionale alla motivazione del bambino a star meglio. L’indicazione dell’intervento chirurgico viene spesso vissuta con preoccupazione e disillusione in quanto rappresenta la presa di coscienza del fallimento delle terapie mediche e fisiche fin qui eseguite, del fatto che le sofferenze, inevitabilmente connesse con un iter chirurgico a volte multiplo e complesso, richiedono un particolare sostegno di tipo psicologico sia per il bambino che per la sua famiglia, per ottenere quella collaborazione che è indispensabile per il successo di qualsiasi intervento terapeutico. L’intervento chirurgico deve sempre tener conto della ridotta possibilità di movimento del rachide cervicale e delle articolazioni temporo-madibolari, indispensabile per poter effettuare l’intubazione dell’anestesia generale. L’anestesista deve sempre essere informato prima. L’intervento chirurgico deve tener conto anche del fatto che i risultati sono migliori se si può intervenire in fase di quiescenza della malattia, anche se l’infiammazione in atto non è una controindicazione assoluta all’intervento.
  • Considerazioni conclusive sul programma terapeutico-riabilitativo dell’AIG
    Il programma terapeutico-riabilitativo del bambino artritico sarà quindi di carattere multiplo; la chiave del suo successo risiede in un gruppo di esperti e affiatati professionisti che comprenderà: il pediatra e il reumatologo, o il reumatologo-pediatra, il fisiatra e il fisioterapista, il chirurgo ortopedico e lo psicologo. Necessario sarà anche l’appoggio dell’assistente sociale e del personale paramedico. Nell’impostare un programma terapeutico individualizzato per ciascun bambino artritico andranno tenute presenti alcune regole generali:
    • è necessaria la collaborazione della famiglia, che deve ricevere e richiedere una chiara e oggettiva informazione sulla natura della malattia, sulle sue possibili conseguenze e sui mezzi terapeutici e preventivi a disposizione;
    • queste informazioni dovranno essere date con gradualità e molta cautela, fornendo sempre un sostegno di tipo psicologico, importante nelle fasi iniziali della malattia e al momento della diagnosi, quando lo stress emozionale può essere particolarmente violento e avere gravi conseguenze psicologiche (crisi di angoscia, depressione, sensi di colpa) ed effetto talora disgregante sulle famiglie;
    • adattare la tecnica riabilitativa all’età del bambino. Con quelli più piccoli, dai quali è difficile ottenere attenzione e collaborazione, si dovranno utilizzare dei supporti materiali per gli esercizi, che andranno proposti come gioco. In alcune situazioni, come nel caso di un ritardo dello sviluppo psicomotorio o di apprendimento di schemi corporei errati, si dovrà ricorrere a particolari tecniche di psicomotricità;
    • preferire la ginnastica attiva (gli esercizi che il bambino può fare da solo) a quella passiva (gli esercizi in cui è il fisioterapista a muovere le articolazioni malate);
    • non appena possibile, passare dagli esercizi strettamente segmentari (cioè di mobilizzazione di un solo segmento corporeo alla volta: un polso o una gamba) a delle attività più globali (ginnastica generalizzata) che stimolino anche l’equilibrio e la coordinazione muscolare;
    • insegnare ai genitori gli esercizi terapeutici e il corretto uso dei tutori, affidare ad essi la prosecuzione a casa del programma riabilitativo, con periodiche supervisioni ambulatoriali;
    • stimolare il desiderio di conquista dell’autonomia nel bambino, incoraggiando e gratificando anche i suoi più piccoli successi; rendere consapevoli i genitori che, ogni volta che intervengono aiutando il bambino oltre l’indispensabile, prevenendolo nella realizzazione della benché minima attività, lo allontanano dal raggiungimento dell’autonomia;
    • integrare le attività terapeutiche con le comuni attività della vita quotidiana, perché la vita familiare, sociale e scolastica di questi bambini deve essere il più possibile normale. Non esiste una dieta specifica che possa aiutare il vostro bambino a guarire dall’AIG. Alcuni studi sembrano indicare l’utilità di somministrare un supplemento di acidi grassi omega3 e di una dieta vegetariana che aiuterebbero a ridurre i sintomi infiammatori della malattia, ma non c’è nulla di definitivamente provato, a livello scientifico, a questo proposito. Tuttavia, le abitudini alimentari sono particolarmente importanti per i bambini e gli adolescenti con AIG;
    • la malattia di per sé (a causa dell’infiammazione e del fatto che limita il movimento del bambino) provoca osteoporosi, cioè una maggior fragilità delle ossa, che può essere aggravata dalla necessità di curare il bambino con il cortisone, in quanto anche il cortisone è causa di osteoporosi. È perciò necessario che la dieta del vostro bambino sia ricca di Calcio (latte e latticini parzialmente scremati);
    • lo scarso movimento e la terapia con cortisone favoriscono l’obesità e la ridotta crescita staturale, è perciò necessario che la dieta sia ricca di proteine, che favoriscono la crescita staturale, e sia relativamente povera di grassi, di carboidrati e zuccheri. In generale, consigliamo soprattutto di evitare l’abuso di merendine dolciumi e bibite pronti in commercio e, viceversa, di favorire l’assunzione di pesce, e verdure fresche. Alcuni bambini, soprattutto nelle fasi acute, perdono l’appetito e vanno perciò aiutati con diete nutrienti e variate. Viceversa i bambini curati con il cortisone recuperano l’appetito anche eccessivamente, andranno perciò aiutati con diete ricche di scorie ma povere di calorie, se possibile sostituendo il primo piatto a base di pasta con un’insalata o altra verdura.

COME COMPORTARSI NEL CASO DI ALTRE MALATTIE INTERCORRENTI E IN SITUAZIONI PARTICOLARI?

Tra le comuni malattie esantematiche dell’infanzia, se il vostro bambino non le ha già avute, la più temibile è la varicella, soprattutto se il bambino è affetto da una forma grave di AIG e se sta facendo terapie immunosoppressive (metotressato, ciclosporina, o altro), con farmaci biologici o con cortisone ad alte dosi. La varicella può avere un decorso più grave che nei bambini sani, anche con complicazioni importanti, e può causare una riacutizzazione dell’artrite. Nel caso che il vostro bambino sviluppi la varicella, o semplicemente sia entrato in contatto con qualcuno affetto da varicella, consultate sempre il pediatra o il pediatra-reumatologo che giudicherà se è necessario prescrivere una terapia con antivirali o una terapia preventiva (con gammaglobuline specifiche). La rosolia, anche nelle persone sane, può provocare dei dolori articolari o un’artrite che, tuttavia, si risolve spontaneamente dopo un certo periodo di tempo. Il morbillo invece può, in qualche caso, far migliorare o regredire l’AIG anche per un lungo periodo di tempo. In caso di malattie infettive febbrili, gli antibiotici, se indicati dal pediatra, possono, e devono, essere associati alle terapie con FANS, con DMARDs e farmaci biologici. Le vaccinazioni obbligatorie, negli studi su grandi numeri di bambini con AIG, non sembrano favorire l’insorgenza della malattia, né le sue riacutizzazioni. Le vaccinazioni non devono mai essere fatte con virus vivi, ma solo con frammenti/componenti antigeniche del virus. La vaccinazione anti-influenzale in genere non è contro-indicata, ma non è neppure strettamente indicata o necessaria, se il bambino ha una forma lieve di artrite, così come non lo è per tutti i bambini sani. La vaccinazione anti-rosolia, che talora può provocare sintomi artritici, e non è obbligatoria, nelle bambine non immuni viene rimandata fino all’età fertile. In caso di interventi chirurgici, anche banali, ma che possano comportare un sanguinamento (una tonsillectomia, un’estrazione dentaria) i FANS devono essere sospesi 24 ore prima, eccetto l’aspirina, che va sospesa una settimana prima. In caso di intervento chirurgico anche le terapie con DMARDs e farmaci biologici vanno sospese temporaneamente. La pillola anti-concezionale non è controindicata, e nelle ragazze in età fertile e sessualmente attive va consigliata nel caso siano in terapia con DMARDs e/o farmaci biologici.

COME LA FAMIGLIA PUÒ AIUTARE IL BAMBINO CON AIG?

Avere un bambino con AIG coinvolge tutta la famiglia, può rendere più difficile la partecipazione alla vita scolastica e sociale, può costringere i genitori e i fratelli a modificare il loro stile di vita. La famiglia può aiutare il bambino o l’adolescente a superare le difficoltà fisiche ed emotive connesse alla sua malattia in molti modi:

  • per prima cosa trattando il bambino nel modo più normale possibile;
  • assicurandosi che egli riceva le cure migliori possibili. Ci sono infatti molte opzioni terapeutiche e non tutti rispondono nello stesso modo a un’identica terapia. L’AIG è una malattia diversa in ogni bambino e se i farmaci prescritti dal medico non sembrano funzionare nel vostro caso come speravate, oppure causano manifestazioni o effetti collaterali spiacevoli, dovete prontamente riferirli al medico e ridiscutere con lui le scelte terapeutiche. Il medico deve essere disponibile a spiegarvi in modo semplice e comprensibile, ma esauriente, tutti i pro e i contro delle terapie che intende prescrivere al vostro bambino e voi dovete esternargli tutti i vostri dubbi e le vostre perplessità e, in seguito, le vostre osservazioni sugli effetti della terapia;
  • incoraggiando il bambino a fare da solo tutto quello che può per la sua autonomia nella vita quotidiana (vestirsi, lavarsi, etc.) anche se ciò richiederà più tempo del normale e, forse, opportuni accorgimenti che il pediatra-reumatologo e il fisioterapista vi suggeriranno;
  • incoraggiando il bambino a fare gli esercizi di ginnastica e una vita fisica il più possibile attiva. La ginnastica, è un momento fondamentale del programma terapeutico del bambino con AIG, ma deve essere ragionevolmente inserita tra i molteplici impegni della sua vita quotidiana e non deve causare ulteriore stress. Gli esercizi di ginnastica, aiutano il bambino a stare meglio, a rilassarsi, a sentire meno dolore, a riacquistare forza. Se il bambino è molto piccolo non potranno che essere praticati in forma di gioco. Per quanto riguarda le attività ginnico-sportive dei ragazzi più grandi non bisognerà porre loro limiti eccessivi, sconsigliando tutt’al più gli sport più pericolosi per il rischio di traumatismo. Sarà il ragazzo stesso a imparare a conoscersi e a capire i propri limiti. Il nuoto è una delle pratiche sportive più vantaggiose per il bambino che soffre di AIG in quanto è privo di possibili traumatismi e consente di muovere ed esercitare tutti i muscoli e le articolazioni senza caricarle del peso del corpo. È importante che l’attività fisica sia piacevole e soddisfacente, anche sotto il profilo psicologico, non venga vissuta come un’imposizione;
  • incoraggiando il bambino o l’adolescente a partecipare ai giochi e alle attività dei suoi coetanei, a praticare attività sportive di gruppo per favorire l’interazione sociale con i coetanei. I bambini e gli adolescenti che non possono partecipare ai giochi e alle attività dei coetanei si sentono isolati e diventano facilmente depressi. I bambini con l’artrite vanno incoraggiati ad esprimere la loro “rabbia” nei confronti della malattia, e la loro “grinta” nella voglia di combatterla;
  • bisogna anche favorire l’assunzione di responsabilità della propria salute da parte del bambino e dell’adolescente;
  • gli insegnanti e i compagni di scuola andranno informati ed educati riguardo al problema dell’AIG e bisognerà ottenere la loro consapevole collaborazione. Non c’è da vergognarsi, né da sentirsi colpevoli per avere l’AIG! Un maggior numero di assenze scolastiche sono pressoché inevitabili e talora, se i periodi di assenza sono prolungati, bisognerà organizzarsi per proseguire l’istruzione a domicilio o durante i periodi di ospedalizzazione. La maggior parte dei bambini e ragazzi con AIG, con opportuni accorgimenti e sostenuti dalla famiglia, dagli insegnanti e dai compagni, riesce a portare a termine con successo gli studi, che d’altro canto non devono far porre in secondo piano la necessità di cure mediche e fisiche quotidiane;
  • può essere molto utile anche confrontarsi con i genitori di altri bambini che hanno, o hanno avuto, lo stesso problema per sostenersi a vicenda;
  • bisognerà fare di tutto per non mostrarsi mai sfiduciati, arresi o disperati. Molti bambini soffrono e si sentono colpevoli per il dolore che la loro malattia arreca ai genitori; il mostrarsi fiduciosi che la battaglia contro l’AIG alla fine, nonostante alterne vicende, potrà essere vinta è l’atteggiamento che dovete aspettarvi dal medico e che dovete mantenere con il vostro bambino.

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Dott. Mattia Congia e Prof. Alberto Cauli

Unità Operativa Complessa di Reumatologia, Policlinico di Monserrato, AOU e Università degli Studi di Cagliari.

CONTENUTI:

Definizione

L’Artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica immunomediata che colpisce prevalentemente le articolazioni periferiche (per esempio: piccole delle mani, polsi, gomiti, spalle, anche, ginocchia, caviglie, piccole dei piedi). Durante il decorso della patologia possono comparire manifestazioni extra-articolari (sistemiche, cutanee, polmonari, renali).

Epidemiologia

Come molte altre patologie immunomediate, l’artrite reumatoide colpisce più frequentemente le donne (M/F: 1/3) ed esordisce più frequentemente attorno ai 40-50 anni, anche se è possibile un esordio più tardivo con caratteristiche peculiari (artrite reumatoide dell’anziano). La prevalenza nei paesi europei è di circa 0,5-1% della popolazione.

Eziologia e fisiopatologia

La sede principale dell’infiammazione è la membrana sinoviale che riveste l’articolazione (sinovite). L’infiammazione sinoviale dell’artrite reumatoide è complessa e ancora non completamente definita in tutti i suoi aspetti, nel suo determinismo intervengono fattori genetici e ambientali che si traducono in una progressiva reazione autoimmunitaria/immunomediata e nell’instaurarsi di un processo flogistico cronico responsabile del danno articolare. La membrana sinoviale interessata dal processo infiammatorio presenta frequentemente un infiltrato di cellule (macrofagi, linfociti T e B) che sostengono il processo interagendo tra loro e secernendo, direttamente o indirettamente, mediatori quali citochine (IL-1, IL-6, TNF alfa) ed enzimi che causano la riduzione di spessore della cartilagine e le erosioni ossee caratteristiche.

Si riscontra una familiarità tra i pazienti, e questo suggerisce una componente genetica nel rischio di sviluppo per l’artrite reumatoide: alcuni geni coinvolti nella regolazione della risposta immunitaria sono predisponenti (HLA DRB*04, DRB*01, PTPN22, PADI4), ma non sono da soli sufficienti a causare la malattia.

Diversi fattori ambientali sono stati associati all’artrite reumatoide: il più rilevante è senza dubbio il fumo. Altri sono stati associati con minore evidenza, tra questi ricordiamo le patologie odontoiatriche, l’abuso di alcol, le infezioni e i disturbi della flora batterica intestinale.

Sintomatologia e quadro clinico

Il sintomo principale dell’artrite reumatoide è il dolore accompagnato da rigidità articolare. L’artrite si manifesta con dolorabilità e gonfiore delle articolazioni coinvolte che appaiono calde. Il dolore assume delle caratteristiche fondamentali (di tipo infiammatorio) che aiutano il medico a distinguere il dolore dell’artrite reumatoide da quello da altre cause; inoltre è presente rigidità mattutina di almeno un’ora e i sintomi sono più intensi al risveglio e durante la notte, migliorando con i movimenti.

Il quadro clinico classico vede coinvolte le piccole articolazioni delle mani e dei piedi, i polsi, in maniera simmetrica e aggiuntiva, ma l’esordio può avvenire anche coinvolgendo poche altre articolazioni (ginocchia, caviglie e gomiti) o, come nel caso dell’anziano, con dolore e impaccio a carico del cingolo scapolare o pelvico.

Possono essere presenti sintomi sistemici quali febbricola, perdita di peso e astenia.

Diagnosi

Una diagnosi precoce della malattia è un elemento essenziale per migliorare la risposta ai farmaci, tuttavia è necessaria un’attenta valutazione dei sintomi e dei segni, a volte anche nel tempo, per non incorrere in errori diagnostici.

Gli esami ematici di laboratorio mettono in evidenza solitamente un aumento degli indici di flogosi (aumento di VES, PCR, frazione alfa2 dell’elettroforesi, fibrinogeno, piastrine). Importante nell’iter diagnostico ricercare alcuni autoanticorpi tipici della malattia (fattore reumatoide, anticorpi anti-peptidi ciclici citrullinati) che fanno parte dei criteri classificativi, e aiutano il medico reumatologo a individuare le forme di malattia aggressiva e, in misura minore, anche nella scelta del trattamento farmacologico.

Il reumatologo può richiedere degli esami strumentali a sostegno della diagnosi. L’ecografia muscoloscheletrica delle articolazioni può talvolta mettere in evidenza un’infiammazione poco rilevabile all’esame clinico. La radiografia delle articolazioni (tipicamente mani, polsi e piedi) è utile per la ricerca di danno osseo precoce (erosioni) e nella successiva valutazione del controllo evolutivo della patologia.

Terapia

La terapia deve essere iniziata il più precocemente possibile, subito dopo la diagnosi, e si basa su farmaci che consentono un controllo dell’infiammazione e la prevenzione del danno articolare. L’adesione alla terapia e la condivisione del progetto terapeutico con il paziente sono cardini della terapia stessa.

I farmaci che si utilizzano sono distinti in:

  • farmaci chimici convenzionali (csDMARDs): methotrexate, leflunomide, sulfasalazina,
  • farmaci biotecnologici (bDMARDs): antagonisti del TNFalfa, anti-B cellule (rituximab), inibitori della co-stimolazione dei linfociti T (abatacept), anti IL-6 (tocilizumab e sarilumab), anti IL-1 (anakinra).
  • famaci chimici targeted (tsDMARDs): anti-Jak (baricitinib, tofacitnib, upadacitnib, filgotinib).

Secondo le più recenti linee guida il trattamento deve essere iniziato con il methotrexate (o qualora ci fossero controindicazioni, con leflunomide o sulfasalazina). In caso di insufficiente risposta a 3/6 mesi deve essere intrapreso un trattamento con bDMARDs o tsDMARDs, associato alla terapia già praticata.

Il controllo dei sintomi iniziali si ottiene con analgesici (paracetamolo) e antiinfiammatori, tenendo presente i possibili effetti collaterali.

Il trattamento con corticosteroidi è frequentemente necessario nelle prime fasi della patologia e nelle riacutizzazioni. Il dosaggio e la durata del trattamento devono essere ridotti al minimo per evitare le conseguenze dal trattamento prolungato (osteoporosi, diabete, glaucoma, ipertensione arteriosa).

I pazienti devono mantenere uno stile di vita attivo, compatibilmente con le fasi di attività di malattia, inoltre è raccomandato il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare (controllo del peso, esercizio regolare, cessazione del fumo, controllo della glicemia), in quanto la malattia predispone ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari.

 

 

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